E’ un carteggio inedito e raro, per certi versi rivelatore. "Lettere a una carmelitana scalza" (edizioni Itaca), in questi giorni in libreria, a cura di Emanuela Ghini, prefazione di Carlo Caffarra, postfazione di Matteo Maria Zuppi, porta la firma di Giacomo Biffi e contiene la corrispondenza di oltre mezzo secolo tra l’allora “don”, poi arcivescovo di Bologna e cardinale, e la giovane Emanuela, prima aspirante accademica e poi suora (e scrittrice) nel Carmelo di Savona.
Non importa che la stragrande maggioranza delle lettere siano di Biffi, grazie all’amorosa custodia di Suor Emanuela. Da ogni riga traspare un dialogo affettuoso e libero e una comune ricerca di Dio. Emanuela e Giacomo si incontrano poco più che ventenni, quasi per caso. Nasce una profonda amicizia, un’intesa anche intellettuale che apre al dialogo, inteso come un momento gioioso, “di festa”.
Un dialogo innanzitutto tra un “lui” e una “lei”, un uomo e una donna, pronti a sorreggersi a vicenda, a turno “consigliere spirituale” l’uno dell’altro. Un dialogo tra “una corrispondente indocile e a volte ribelle, contestatrice e mai arresa al fatto cristiano”, come si definisce la stessa suor Emanuela nell’introduzione, e “un amico reazionario che è abbastanza amante della verità e della giustizia, ma insieme ha un po’ troppo il gusto donchisciottesco di assalire i mulini a vento”, come si autodefinisce invece lo stesso Biffi in una missiva, col suo proverbiale senso dell’ironia.
Quello che colpisce è l’estrema libertà del colloquio. E la leggerezza che permane anche quando i due si contraddicono e persino bisticciano, vista la diversità di vedute e anche di carattere. Non mancano momenti di alta teologia, di profonda umanità e di toccante poesia. Biffi spiega il perché di certe sue posizioni giudicate “non politicamente corrette” e certamente anticonvenzionali. E anche il perché di certe sue frasi che lo resero involontariamente celebre, come quando definì la “sua” Bologna, peraltro amatissima “sazia e disperata”.
Leggero e sempre profondo, anche e forse soprattutto nell’ironia. “Ti auguro il senso dell’umorismo”, scrive appunto il cardinale all’amica carmelitana, “che forse consiste, alla sua radice, nell’amare appassionatamente tutte le creature senza identificare mai nessuna di esse con il loro Creatore”.