“Non ho mai parlato di dna, ho parlato di camorra come elemento costitutivo della società e della storia".
Rosy Bindi presidente della Commissione Parlamentare antimafia, il giorno dopo, distingue, chiarisce, separa parole e polemiche. Le prime sono quelle da lei pronunciate alla fine dei due giorni di audizioni della Commissione a Napoli. Le seconde sono quelle nate a rimorchio. Le parole esatte, sono dunque: “la camorra è un elemento costitutivo di una società e della storia della città”. Ancora Bindi, in fase di precisazione: “Ripeto queste parole con convinzione. Non si può fare una storia di Napoli senza fare una storia della camorra, così come una storia dell'Italia senza le mafie. Ignorare questo dato impedisce che camorra e mafie continuino ad essere elemento costitutivo. Sentirsi offesi per questo è il primo regalo che possiamo fare alle mafie".
A sentirsi offesi sono stati (il giorno prima delle precisazioni) il sindaco (Luigi De Magistris), il Governatore (Vincenzo De Luca), forse anche il Procuratore della Repubblica Giovanni Colangelo, reduce dall’ennesimo blitz anti-clan. Offesi quasi per destino istituzionale, per le cariche che ricoprono, per il vestito che hanno indosso prima ancora che per essere campani. Offesa e indignazione inevitabile, quasi dovuta, si direbbe.
Ma il punto vero resta un altro. Se cioè si possa dire che studiare Napoli e la Campania oggi (e forse anche ieri) senza considerare i fenomeni criminali che vi hanno attecchito sia cosa indicibile, pena l’esser accusati di “razzismo” culturale. Se si possa fare un ragionamento storico onesto e approfondito su questa terra omettendo questa scomodissima verità. E senza essere assoldati nella corte dei maestri di determinismo, da Cesare Lombroso a Edward Banfield (autore del classico Le basi morali di una società arretrata, il Mulino) che vedevano nella forma di un cranio o di una struttura sociale, appunto “nel Dna” fisico o antropologico, le origini del male mafioso, la differenza tra criminale e non, e leggevano da quel punto di osservazione tanta parte della storia del Mezzogiorno.
Detto con altro giro di parole: si possono prendere o no le parole della Bindi per quello che sono, ovvero una constatazione, un fatto storico, una verità da libro di testo? Cioè: la camorra esiste. A Napoli, in Campania. Fa parte di quel territorio senza ovviamente essere tutto quel territorio. Oppure vogliamo guardare da un’altra parte, e come per la Sicilia (e qualche ministro di un tempo che fu) dire che la mafia a Palermo (come la ndrangheta a Reggio Calabria) è solo un’invenzione dei giornali o parlarne è fare disfattismo rispetto agli stranieri e arrecare danno al turismo?
Qualche giorno fa padre Alex Zanotelli, parlando ai funerali di Genny, il diciassettenne ucciso al rione Sanità in una sparatoria, ha usato parole che in questi casi si usa definire “forti” e basterebbe definire “vere”. Ha detto che la piazza che aveva di fronte era piena di sangue. Che la salvezza non sarebbe arrivata da fuori, dallo Sato – comunque lontano – ma dalla piazza stessa. Nessuno si è scandalizzato per quelle parole. Perché è difficile negare che un ragazzo che cresca alla Sanità, a Scampia, a Ponticelli, a San Giovanni a Teduccio, a Bagnoli, ad Aversa, a Casal di Principe …. con la camorra debba fare i conti, purtroppo, ogni giorno. E allora dove sta lo scandalo? Dove l’indignazione – a parte quella dovuta per appartenenza istituzionale, dovuta e quindi scontata - se si dice che quella cosa lì, la camorra, fa parte di quella terra, di quella storia, di quel territorio. A noi sembra che non ci sia scandalo alcuno. Semmai una gran paura di dire le cose con il loro nome e guardare in faccia la realtà.
Ps piccola chiosa per l’onorevole Bindi: non c’era altra parola più adatta a dire tutto questo di “costitutivo”? A volte anche le sfumature contano. O no?