In Piemonte il tacchino si chiama pito (“pitu”, dal termine onomatopeico pité, beccare), biro (“biru”) o dindo (“dindu”), abbreviazione di pollo d’India, nome scelto dai conquistatori spagnoli per indicare il gallinaceo delle Indie occidentali. Un tempo era allevato nelle cascine per le festività natalizie, in alternativa al più raffinato cappone, ed esistevano feste e giochi popolari in suo nome. Oggi lo si mangia tutto l’anno ed è ingrassato in strutture intensive. Più rari i tacchini nostrani, ancor più quelli che razzolano sulle aie. La carne migliore è quella della tacchina giovane, dalle ossa flessibili e dalla pelle delle zampe non scagliosa. La ricetta suggerisce per condire i bocconcini una salsa che pare provenga dai ricettari dei Savoia. La carne può essere anche di gallina o di galletto ruspante.