Manifestanti a sostegno del Movimiento al socialismo (foto Reuters).
(Foto Reuters sopra: il neo-presidente boliviano Luis Arce)
Il socialismo di Evo Morales torna a trionfare in Bolivia. Nel Paese latinoamericano le elezioni del 18 ottobre hanno portato al potere il candidato presidenziale del Mas, il Movimiento al socialismo, Luis Arce, che ha vinto alle urne ottenendo la maggioranza assoluta al primo turno. Un anno fa grandi proteste e manifestazioni di piazza, seguite alle elezioni, hanno spinto Morales alle dimissioni - uscito vincitore per un quarto mandato consecutivo e accusato di avere tentato di manipolare il voto - e hanno portato all’instaurazione di un Governo provvisorio di centrodestra guidato dalla presidente ad interim Jeanine Áñez. Dopo la rinuncia, Morales ha accettato l’esilio politico e ha abbandonato il Paese - riparando prima in Messico, poi in Argentina, dove si trova tuttora - ma denunciando a gran voce di essere stato vittima di un colpo di Stato.
Indigeno aymara, ex leader del movimento sindacale dei cocaleros, i campesinos coltivatori di coca, Morales è stato il primo nativo a a raggiungere la carica di presidente in America latina, in un Paese, la Bolivia, dove sono riconosciuti 37 popoli indigeni e più del 40% della popolazione si definisce come parte di una naziona nativa. Leader fortemente discusso, amatissimo dalle classi popolari e meno abbienti - che ha sempre rappresentanto e dalle quali lui stesso proviene -, avversato dalla borghesia benestante del Paese, saldamente al potere per quasi 14 anni consecutivi dal 2006 fino al 2019, Evo Morales rappresenta una figura certamente ingombrante per la neopresidenza. La sua immagine ha avuto un peso enorme in tutta la campagna elettorale - il consenso ad Arce viene letto come un implicito consenso a Morales - e la sua eredità politica rischia di restare un’ombra incombente sull’operato di Arce. Quest’ultimo, però, non ci sta affatto a fare la parte del “delfino” - un po’ come Nicolas Maduro nei confronti di Hugo Chávez in Venezuela - o della marionetta nelle mani del predecessore e rivendica la sua indipendenza e la sua piena autonomia.
Nato a La Paz nel 1963, Arce si è laureato in Economia a La Paz e ha poi ottenuto un master in Gran Bretagna. Ha lavorato alla Banca centrale della Bolivia ed è stato per due volte ministro dell'Economia durante quasi tutta la presidenza Morales, dal 2006 al 2017 e nel 2019. Si è dedicato anche alla docenza universitaria, in Bolivia e in altri Paesi come gli Stati Uniti. Un background e una formazione del tutto differenti da quelli di Evo Morales. Il neo-capo di Stato ha messo fin da subito un punto fermo nel suo percorso presidenziale: non ha alcuna intenzione di disconoscere la sua leadership storica, il suo ruolo guida del Mas. Tuttavia, assicura, la figura dell’ex presidente ora in esilio non avrà influenza sul suo personale operato, non sarà un’ombra sul suo cammino e sulle sue decisioni. Il Governo sarà di Arce, e solo suo.
Lo ha chiarito in modo molto netto e determinato nelle prime interviste rilasciate dalla sede del Mas a La Paz, alle agenzie Efe e Reuters: Morales non avrà nessun incarico di Governo. Può tornare in Bolivia quando vuole, ma sarà lui, Arce, a prendere le decisioni e a scegliere chi entrerà nella sua amministrazione. Ad Efe, il neopresidente ha inoltre dichiarato che tra le sue prime azioni di politica estera ci sarà il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Cuba e Venezuela, che erano state interrotte dal Governo della Áñez. «Questo Governo ha agito molto ideologicamente», ha detto, «privando il popolo boliviano dell’accesso alla medicina cubana, della medicina russa, ai progressi in Cina». Ma non dsolo Cuba, Venezuela e Iran: Arce ha sottolineato infatti che la Bolivia terrà la porta aperta a tutti i Paesi, senza limitazioni o pregiudizi. «L’unico requisito sarà che ci rispettino e rispettino la nostra sovranità, niente di più».
La Bolivia è sprofondata in una grave crisi economica legata alla pandemia del Covid-19. Secondo alcuni osservatori la vittoria del candidato del Mas si spiega con il fatto che buona parte dei cittadini abbia deciso di aggrapparsi alla figura di un esperto di gestione economica come Arce che, negli anni passato è stato protagonista di una forte crescita economica del Paese: negli anni del suo incarico di ministro dell’Economia e delle finanze, il tasso di povertà della Bolivia è crollato dal 60% al 37% e il prodotto interno lordo è quadruplicato, secondo i dati ufficiali. Dal 2005 al 2015 la povertà estrema è passata da poco meno del 37% a circa il 17%. Arce ha dichiarato che il suo programma si fonda sull’idea di un Governo appoggiato dal Movimento per il socialismo «rinnovato» e che lui intende governare per tutti i boliviani, senza distinzioni.
Il Coronavirus ha messo in ginocchio l’intera America latina. In Bolivia si contano circa 140mila contagi e quasi 8.500 decessi. Il Paese si piazza al 34° posto nella lista delle nazioni del mondo più colpite: al primo posto si confermano gli Stati Uniti, seguiti da India, poi Brasile. Nelle prime dieci posizioni si incontrano altri quattro Stati del Centro e Sudamerica (oltre al Brasile): Argentina, Colombia, Perù e Messico.