Carlin Petrini, fonpdatore di Slow Food.
Basta minestrine, verdure stracotte e pasta collosa che tra l’altro, come tutti i nutrizionisti si affannano a spiegare, rischia di risultare anche poco digeribile. Il Policlinico Sant’Orsola di Bologna, il più grande ospedale cittadino, centro di eccellenza per molte specialità cliniche e chirurgiche, ha deciso di distinguersi anche per il nuovo corso della sua cucina.
Innanzitutto ha cassato l’ipotesi, ventilata nei mesi scorsi, di affidare in appalto a una società esterna la confezione degli oltre 4000 pasti giornalieri per ammalati e dipendenti. Le cucine interne restano, e così i cuochi e il personale addetto, oltre 100 persone impegnate a tempo pieno nella ristorazione. Ma da oggi si cambia passo di marcia, con un occhio di riguardo alle materie prime e al sapore dei piatti serviti in corsia, anche per evitare che molti pazienti, scoraggiati già dall’aspetto desolante dei cibi, abbandonino le porzioni pressoché intonse come accade, ahimé, in molti ospedali.
Per raggiungere al più presto l’obiettivo il policlinico bolognese ha stipulato una convenzione nientemeno che con Slow Food. I cuochi del Sant’Orsola, nei prossimi due anni, andranno a lezione dagli esperti dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, al fine di migliorare la qualità e anche l’appetibilità dei cibi serviti, mantenendoli ovviamente compatibili con le diverse patologie.
Carlo Petrini, a capo dell’associazione, ha parlato a proposito di una vera rivoluzione. “Sono fermamente convinto che il lavoro che la nostra piccola ma dinamica università potrà mettere in campo, con un pilastro della sanità pubblica come il Sant'Orsola, possa segnare un cambiamento ed un esempio epocali”, ha dichiarato, “un cambiamento per le decine di migliaia di persone che ogni giorno consumano il proprio pasto e un esempio per tutte quelle realtà ospedaliere e in genere assistenziali che siano interessate ad includere il momento dell'alimentazione, a pieno titolo, in un modello rinnovato di cura per l'uomo”.
Mangiare meglio aiuta a guarire, sia fisicamente che psicologicamente. E’ questa la filosofia che sta dietro l’iniziativa. “Questa convenzione nasce da un progetto di riqualificazione della ristorazione, che sta portando al Sant’Orsola un risparmio di oltre 800mila euro all’anno e, nello stesso tempo, un miglioramento della qualità”, spiega il direttore sanitario Anselmo Campagna, “non ci limitiamo, infatti, a tagliare, ma innoviamo i processi: e lo facciamo per rendere il cibo una parte della cura, con un’attenzione nuova a quello che mangiamo e offriamo da mangiare ai nostri pazienti”.