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lunedì 20 marzo 2023
 
Fiction e realtà
 

Adriano Giannini: "Gli agenti di Boris Giuliano mi hanno detto: comandi, capo!"

23/05/2016  L'attore interpreta il commissario ucciso dalla mafia nel 1979, ricordato nella fiction diretta da Ricky Tognazzi e in onda stasera e domani su Rai 1: "Era un uomo che non poteva fare un passo indietro".

Adriano Giannini ricorda il primo giorno sul set della fiction Boris Giuliano, un poliziotto a Palermo, in onda su Rai 1 il 23 e 24 maggio, in occasione dell’anniversario della strage di Capaci: «Era il 17 agosto dell’anno scorso. A Palermo c’erano più di 40 gradi e noi eravamo tutti vestiti con abiti invernali degli anni Settanta con baschi e colletti che sembravano deltaplani... Dovevamo girare una scena molto impegnativa: l’incontro tra Giuliano e il primo pentito di mafia, Leonardo Vitale. Ho notato un gruppetto di 3-4 persone che mi fissavano. Non capivo chi fossero. Al momento di andare in pausa, me li sono ritrovati davanti e confesso che un po’ mi hanno intimorito. All’improvviso, si sono messi tutti sull’attenti e hanno esclamato: “Comandi, capo!”. Erano gli agenti della sua squadra, quelli che avevano condiviso tutto con lui e che lo avevano visto a terra morto. Per me, che non avevo mai interpretato prima dei personaggi realmente esistiti, l’impatto emotivo è stato fortissimo».
Giorgio Boris Giuliano, capo della Squadra mobile a Palermo, venne ucciso il 21 luglio del 1979 davanti al bar Lux con sette colpi di pistola sparati alla schiena da Leoluca Bagarella, su ordine dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Chiese di essere inviato in città nel 1963, all’indomani della strage di Ciaculli in cui morirono in sette tra carabinieri e poliziotti. In breve, rivoluzionò i metodi investigativi nella lotta contro la mafia in un periodo in cui per molti la stessa esistenza di Cosa Nostra veniva messa in discussione.
«Lo scopo principale della fiction», continua Giannini, «è raccontare quel periodo così complesso, gli anni del “sacco di Palermo”, le speculazioni edilizie selvagge rese possibili da politici collusi come Vito Ciancimino, e della guerra tra i corleonesi e la vecchia mafia della città. In questo scenario, con due volanti e quattro radio scassate, Boris Giuliano creò alla Squadra mobile un pool di investigatori formidabile, cercando per la prima volta anche il sostegno della stampa più coraggiosa». Lo vediamo quindi aggirarsi febbrile negli uffici della Questura insieme a Mauro De Mauro, giornalista dell’Ora scomparso nel nulla nel 1970, e a Mario Francese, collega del Giornale di Sicilia, massacrato sempre da Bagarella pochi mesi prima del suo amico poliziotto.
«In personaggi così mi affascina il loro senso innato di giustizia che è più forte di qualsiasi cosa. Credo che arrivi un momento nella loro vita in cui, per preservare sé stessi e i propri cari, abbiano la possibilità di fare un piccolo passo indietro che non intaccherebbe la loro immagine di poliziotti, di magistrati, di giornalisti irreprensibili. Ma per un uomo come Boris Giuliano questa possibilità non esiste».
Il rischio, però, è di trasformare nella trasposizione filmica queste figure in supereroi, rendendole poco credibili. Un rischio che la fiction, diretta da Ricky Tognazzi, ha evitato, privilegiando la misura alla facile spettacolarità. Nel raccontare l’omicidio di Pietro Scaglione, il primo magistrato ucciso dalla mafia nel 1971, non vediamo i killer fare fuoco, ma solo Boris Giuliano che soccorre quell’uomo che tanto stimava.
«Sì, c’è poca azione nella fiction e per questo le scene più difficili da girare sono state quelle con Nicole Grimaudo, che interpreta la moglie di Giuliano», ricorda l’attore. «Volevamo evitare a tutti i costi gli stereotipi della “famigliola perfetta”. Da questo punto di vista, incontrare i familiari ci ha aiutato molto».
Nell’ordinanza di rinvio a giudizio del maxiprocesso alla mafia Paolo Borsellino scrisse: «Se altri organismi dello Stato avessero assecondato l’intelligente opera investigativa di Boris Giuliano, l’organizzazione criminale mafiosa non si sarebbe sviluppata sino a questo punto e molti omicidi, compreso quello dello stesso Giuliano, non sarebbero stati commessi».
Ma tra i palermitani il suo ricordo è ancora molto vivo, come conferma Giannini: «La sera dopo le riprese ci ritrovavamo al ristorante. Cuochi e camerieri ci ripetevano sempre: “Finalmente raccontate la storia di quest’uomo che ha fatto così tanto per la nostra città e per la Sicilia”».

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