Adriano Giannini ricorda
il primo giorno sul set
della fiction Boris Giuliano,
un poliziotto a Palermo,
in onda su Rai 1 il 23
e 24 maggio, in occasione
dell’anniversario della
strage di Capaci: «Era il
17 agosto dell’anno scorso. A Palermo
c’erano più di 40 gradi e noi eravamo
tutti vestiti con abiti invernali degli
anni Settanta con baschi e colletti che
sembravano deltaplani... Dovevamo
girare una scena molto impegnativa:
l’incontro tra Giuliano e il primo
pentito di mafia, Leonardo Vitale. Ho
notato un gruppetto di 3-4 persone
che mi fissavano. Non capivo chi fossero.
Al momento di andare in pausa,
me li sono ritrovati davanti e confesso
che un po’ mi hanno intimorito.
All’improvviso, si sono messi tutti
sull’attenti e hanno esclamato: “Comandi,
capo!”. Erano gli agenti della
sua squadra, quelli che avevano
condiviso tutto con lui e che lo avevano
visto a terra morto. Per me, che
non avevo mai interpretato prima dei
personaggi realmente esistiti, l’impatto
emotivo è stato fortissimo».
Giorgio Boris Giuliano, capo della
Squadra mobile a Palermo, venne ucciso
il 21 luglio del 1979 davanti al bar
Lux con sette colpi di pistola sparati
alla schiena da Leoluca Bagarella, su
ordine dei corleonesi di Totò Riina e
Bernardo Provenzano. Chiese di essere
inviato in città nel 1963, all’indomani
della strage di Ciaculli in cui morirono
in sette tra carabinieri e poliziotti.
In breve, rivoluzionò i metodi investigativi
nella lotta contro la mafia in un
periodo in cui per molti la stessa esistenza
di Cosa Nostra veniva messa in
discussione.
«Lo scopo principale della fiction»,
continua Giannini, «è raccontare quel
periodo così complesso, gli anni del
“sacco di Palermo”, le speculazioni edilizie
selvagge rese possibili da politici
collusi come Vito Ciancimino, e della
guerra tra i corleonesi e la vecchia
mafia della città. In questo scenario,
con due volanti e quattro radio scassate,
Boris Giuliano creò alla Squadra
mobile un pool di investigatori formidabile,
cercando per la prima volta
anche il sostegno della stampa più coraggiosa». Lo vediamo quindi aggirarsi
febbrile negli uffici della Questura
insieme a Mauro De Mauro, giornalista
dell’Ora scomparso nel nulla nel
1970, e a Mario Francese, collega del
Giornale di Sicilia, massacrato sempre
da Bagarella pochi mesi prima del suo
amico poliziotto.
«In personaggi così mi affascina
il loro senso innato di giustizia che
è più forte di qualsiasi cosa. Credo
che arrivi un momento nella loro vita
in cui, per preservare sé stessi e i propri
cari, abbiano la possibilità di fare un
piccolo passo indietro che non intaccherebbe
la loro immagine di poliziotti,
di magistrati, di giornalisti irreprensibili.
Ma per un uomo come Boris Giuliano
questa possibilità non esiste».
Il rischio, però, è di trasformare
nella trasposizione filmica queste figure in supereroi, rendendole poco
credibili. Un rischio che la fiction, diretta
da Ricky Tognazzi, ha evitato,
privilegiando la misura alla facile spettacolarità. Nel raccontare
l’omicidio di Pietro Scaglione, il primo
magistrato ucciso dalla mafia nel
1971, non vediamo i killer fare fuoco,
ma solo Boris Giuliano che soccorre
quell’uomo che tanto stimava.
«Sì, c’è poca azione nella fiction
e per questo le scene più difficili da
girare sono state quelle con Nicole
Grimaudo, che interpreta la moglie
di Giuliano», ricorda l’attore. «Volevamo
evitare a tutti i costi gli stereotipi
della “famigliola perfetta”. Da questo
punto di vista, incontrare i familiari ci
ha aiutato molto».
Nell’ordinanza di rinvio a giudizio
del maxiprocesso alla mafia Paolo
Borsellino scrisse: «Se altri organismi
dello Stato avessero assecondato l’intelligente
opera investigativa di Boris
Giuliano, l’organizzazione criminale
mafiosa non si sarebbe sviluppata sino
a questo punto e molti omicidi, compreso
quello dello stesso Giuliano, non
sarebbero stati commessi».
Ma tra i palermitani il suo ricordo
è ancora molto vivo, come conferma
Giannini: «La sera dopo le riprese ci
ritrovavamo al ristorante. Cuochi e camerieri
ci ripetevano sempre: “Finalmente
raccontate la storia di quest’uomo
che ha fatto così tanto per la nostra
città e per la Sicilia”».