«Ho sempre accettato, più che il rischio, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, a un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli». Così diceva Paolo Borsellino nel giugno 1992, pochi giorni prima della sua morte, che quasi presagiva. Alessandra Turrisi, giornalista palermitana, ripercorre nel suo libro Paolo Borsellino l’uomo giusto (edizioni San Paolo) la storia drammatica di un eroe della lotta alla mafia, ma soprattutto di un uomo giusto.
L’autrice non traccia solo il percorso di vita del magistrato siciliano fino all’attentato del 19 luglio 1992, ma ne rievoca la biografia attraverso il coro di voci inedite che ne tratteggiano la figura: i ricordi di parenti, colleghi, amici. Una storia di vita blindata e di lavoro estenuante, di polemiche e delusioni, di fede e senso del dovere, ma anche di allegria, ironia e intense amicizie. Con una convinzione profonda: «La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità».
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