Sarajevo, oggi. Foto Reuters.Nell'immagine di copertina (Reuters): sacerdoti a Sarajevo durante la celebrazione di inaugurazione della statua di Giovanni Paolo II, nell'aprile 2014..
Metà dei cattolici
presenti in Bosnia alla vigilia della guerra nel 1991 sono emigrati
all’estero: da 800 mila a 424 mila registrati nel 1996 alla fine della
guerra, secondo i dati della Conferenza episcopale cattolica bosniaca. Nel
2003 ne erano rientrati 40 mila, ma l’anno scorso si è precipitati di
nuovo a 420 mila. Anche i battesimi ora sono la metà dei funerali. I
vescovi bosniaci hanno più volte denunciato l’impossibile architettura
degli accordi di Dayton, che privilegia serbi e musulmani e punisce i
croati. Da anni l’episcopato cattolico insiste sulla soluzione dei tre
popoli costitutivi con eguali diritti.
Dati ufficiali sulla ripartizione
delle etnie non cene sono perché i risultati de lcensimento effettuato
nel 2013 si conosceranno solo nel 2016. I censimenti da queste parti, come
in Medio Oriente, sono materia sensibile da trattare con i guanti di
velluto. Anche la popolazione di Sarajevo è radicalmente cambiata rispetto a
prima della guerra e ci sono forti tensioni pure tra i musulmani. L’islam
di Sarajevo è sempre stato diverso dalla tradizione wahabita degli imam
delle nuove moschee sorte dopo la guerra. La maggior parte dei bosniaci
non vuole che diventi un Paese islamico.Anche i vescovi la pensano così e
non perché temono l’islam, ma perché ritengono che in questo modo si
finisca per costruire un ghetto in Europa dove i bosniaci rischiano di fare
la fine dei palestinesi. Ecco perché hanno sempre contestato la
spartizione della Bosnia su linee etniche.