˗ Nel complesso, qual è il vostro giudizio sulle linee per la Riforma del Terzo Settore?
«Positivo, anche per la parte che coinvolge l’impresa sociale e il servizio civile: si tratta di una riforma che attendevamo da moltissimo tempo. Va dato atto al Governo di aver rispettato i tempi annunciati».
˗ Vedete delle criticità?
«Sì, soprattutto di natura finanziaria. Riteniamo un limite il vincolo che dall’attuazione dei provvedimenti non debbano derivare maggiori oneri per la finanza pubblica. Il Paese per ripartire avrebbe bisogno di una terapia d’urto sul piano economico, fiscale e sociale. Semplificando molto, si potrebbe dire che in periodi di crisi andrebbe fatto l’esatto contrario di quello che sostengono gli organismi internazionali: anziché continuare ad invocare la crescita per riduzione del debito, andrebbe prima favorita con forti investimenti per lo sviluppo, drastica riduzione della pressione fiscale e adeguata spesa sociale. Avremmo un momentaneo sforamento dei parametri europei, ma con molta probabilità innescheremmo la ripresa e il successivo riequilibrio dei conti».
˗ Ci sono punti che il mondo del Terzo settore attendeva e mancano?
«Uno in particolare: insieme a una trentina di associazioni, avevamo chiesto di compiere un primo passo verso una crescita e stabilizzazione dei fondi sociali, a cominciare dal varo di una misura universale e reinclusiva contro la povertà assoluta per garantire su tutto il territorio nazionale in modo omogeneo i livelli essenziali delle prestazioni sociali e sanitarie. L’assenza di un riferimento a tale misura denota, a nostro parere, una mancanza di volontà politica volta ad avviare un percorso strutturato contro la povertà. La spesa sociale non può essere considerata un costo ma un investimento. Inoltre, nei decreti attuativi si dovrà mirare a promuovere il lavoro di qualità, perché non si può andare avanti con appalti al ribasso e ritardi di pagamenti. Se non si apre questo capitolo con la Pubblica Amministrazione, lo sforzo d’innovazione che la Riforma propone rischia di arenarsi».
˗ Quali invece le misure di maggiore positività?
«L’idea che il Terzo Settore costituisce un soggetto centrale per l’economia e per il Paese e non una realtà di nicchia, come troppo spesso è stato considerato. Con questo riconoscimento il Terzo Settore si candida a esprimere capacità di rappresentanza e dialogo sociale affinché le politiche pubbliche e le scelte strategiche, non solo nel campo delle politiche sociali, non siano calate dall’alto, ma vedano i cittadini e le comunità sempre più partecipi».
˗ Si insiste nella richiesta di maggior trasparenza: è effettivo il rischio che nel Terzo Settore si inseriscano realtà con altri fini?
«Non è un rischio, è una realtà deprecabile contro cui non bisogna mai abbassare la guardia. Le organizzazioni che operano con serietà hanno tutto l’interesse che vi siano queste norme a garanzia della trasparenza e delle finalità sociali di chi opera nel settore».
˗ Una novità è sul servizio civile. Come la valutate?
«Assai positivamente essendo state le Acli tra i primi a proporre un nuovo servizio civile nazionale universale, che può aiutare i giovani ad inserirsi nella società e nel mondo del lavoro e che offre, soprattutto a chi è disoccupato o non studia né lavora, una chance. Ma chiediamo anche che questo servizio civile venga considerato a tutti gli effetti una forma con cui adempiere all’obbligo del sacro dovere della difesa della patria. Una difesa civile, non armata, che difende la società dalle ingiustizie sociali che scatenano i conflitti».
˗ Cinque per mille: è la volta buona per garantire un contributo certo al settore?
«Il 5 per mille ha dimostrato di funzionare come libera forma di finanziamento. La sua stabilizzazione non potrà che avere degli effetti positivi sulla programmazione delle attività sociali».
˗ Impresa sociale: le novità ci sono realmente?
«Sì, e dovrebbero ampliare le forme attraverso cui finanziare l’impresa sociale, che potrà raccogliere capitali tramite internet, come le start up innovative, e potrà distribuire utili. Inoltre, viene favorita la diffusione di titoli di solidarietà e altre forme di finanza sociale, come ad esempio i social bond, titoli a rendimento garantito con una quota destinata al terzo settore. Qui il rischio da evitare è uno sbilanciamento su alcuni progetti di maggiore visibilità a danno di altri forse più importanti ma che si riferiscono a realtà più complesse da monitorare».