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sabato 26 aprile 2025
 
Cinema
 

Brendan Fraser, Oscar come miglior attore protagonista: «Mettetevi nei panni degli altri»

13/03/2023  Ha vinto la statuetta per la sua interpretazione in "The Whale", film su un uomo obeso, infelice, che non esce più di casa: "C’è un universo dentro ognuno di noi. È orribile considerare un “mostro” una persona solo perché è sovrappeso", dice l'attore intervistato da Famiglia Cristiana

Sul n.9 di Famiglia cristiana era apparsa l'Intervista a Brendan Fraser protagonista di The Wahle, in occasione della sua candidatura all'Oscar come migliore attore protagonista. L'indomani della sua meritata vittoria la riproniamo qui

 

 

La maggior parte del pubblico se lo ricorda come un avventuriero dai toni scanzonati. Prima beniamino della commedia sentimentale, poi Tarzan in George re della giungla e infine erede diretto di Indiana Jones nella trilogia legata a La mummia. Brendan Fraser ha avuto una carriera altalenante, ultimamente spesso prestava il volto a personaggi secondari, come in No Sudden Move di Soderbergh. Oggi, in The Whale, è il vero mattatore e forse regala la sua miglior interpretazione di sempre, ricevendo con merito anche una nomination agli Oscar. Vincerà? È presto per dirlo. Si cala nei panni di Charlie, un uomo sovrappeso che quasi non riesce ad alzarsi dal divano. Per vivere fa l’insegnante in Rete, tiene un corso di scrittura. Ha un passato burrascoso, un rapporto molto difficile con la figlia, a cui solo nell’ultimo periodo sta cercando di riavvicinarsi. Una sua amica infermiera, Liz, cerca di aiutarlo, ma lui sembra non voler smettere di mangiare compulsivamente. Dietro la macchina da presa c’è Darren Aronofsky, regista tra gli altri di Requiem for a Dream e The Wrestler.

«La storia nasce dall’opera teatrale del 2012 di Samuel D. Hunter. Abbiamo lavorato sugli sguardi, sulla fisicità, un po’ come se fossimo sul palcoscenico. Sono felice di essere tornato a recitare, mancavo da tanto tempo. Non è una professione semplice, a volte porta frustrazione. Serve un profondo senso del dovere per andare avanti. Non mi ero mai spinto così in là, ma anche lo spettatore, sui titoli di coda, è costretto a confrontarsi con la sua etica, i valori sui quali costruisce la sua vita. È stata una sfida, abbiamo puntato sulla verità, sia da un punto di vista umano che fisico. A fine giornata, quando tornavo me stesso, mi mettevo a riflettere su quello che ero e che sarei potuto essere. Ho imparato a esaltare la dignità, il rispetto. Ognuno di noi ha bisogno della sua redenzione», spiega Fraser.

Il film è stato presentato in concorso all’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia. Uno dei temi di The Whale è l’obesità.

«È una vicenda umana contro il pregiudizio, che vuole scardinare le convenzioni. Il titolo (che significa “La balena”, ndr) non è ironico, è un riferimento letterario a Moby Dick. Il protagonista è un professore, la maggior parte del mondo rifiuta il suo aspetto. L’obesità è un problema serio. In tanti non se la sentono di uscire di casa perché non riescono ad accettarsi. Sono chiusi nei loro appartamenti, dietro alle tende, e non sappiamo quasi niente di loro. Le motivazioni possono essere pratiche, legate all’impossibilità di muoversi, o possono avere radici più profonde. Ad aiutarli sono i famigliari, le anime buone che incontrano. Dobbiamo però imparare a non fermarci solo a quello che trasmettono gli occhi, alle apparenze. C’è un universo dentro ognuno di noi. È orribile considerare un “mostro” una persona solo perché è sovrappeso. Questo è un dramma sociale, bisogna cambiare il modo di pensare, di porsi verso gli altri. L’obiettivo con The Whale è sensibilizzare, non far perdere la speranza a chi è in difficoltà. Nessuno deve essere lasciato solo. Sento una responsabilità enorme».

Poi si parla di genitorialità.

«In questo caso è un rapporto conflittuale. Ognuno ha le sue montagne da scalare, un sentiero da percorrere. Ma non bisogna mai perdere l’onestà, l’essere sinceri con sé stessi e con chi è intorno a noi».

Lei è padre anche nella vita reale.

«È vero, ho tre ragazzi di cui sono fiero. Per me significa amore incondizionato, mi hanno insegnato tanto. Il rischio è di non essere adeguati o all’altezza. Per essere dei buoni genitori serve tanta empatia, voglia di ascoltarsi, di comprendersi».

In The Whale il rapporto col cibo è complesso. Come ha lavorato su questo?

«Il protagonista mangia perché ha una dipendenza. Il nutrirsi non è più una necessità ma una malattia, una forzatura che supera la ragione. È una tragedia, una tortura, a cui è complesso anche solo assistere. Si tratta di un essere umano che si fa del male».

Come sente di essere cambiato?

«Sono più attento a ciò che mi circonda, più aperto al dialogo. È necessario capire, non essere aggressivi, mettersi nei panni di chi abbiamo davanti. Ognuno combatte la sua guerra, e spesso non lo sappiamo. Non dobbiamo ignorare, ma essere vigili».

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