Il dibattito, anche per le domande poste dai cronisti, prende le mosse dalla stretta attualità. «Mi auguro che la Gran Bretagna non esca dall’Europa e tutto rimanga com’è adesso», è l’auspicio di Romano Prodi, ex premier e presidente della Commissione europea dal 1999 al 2004, a margine del convegno organizzato a Milano dall’Ispi dal titolo “L’Europa al bivio” e introdotto dal presidente, l’ambasciatore Giancarlo Aragona. Poi aggiunge: «Il vulnus del referendum inglese è già fatto, ha dato l'idea che l'Europa sia una scelta provvisoria. Il futuro sarà diverso dal passato e la conseguenza logica è che ci sarà un’Europa a più velocità. Così, l'idea che si possa uscire può venire domani alla Danimarca, a qualche altro Paese o anche all'Italia stessa».
A Palazzo Clerici, in una sala affollatissima, a dialogare con il Professore c’è l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, che in apertura del suo intervento cita Giacomo Leopardi («l’uomo per sua natura non può disperare»), accenna alla questione delle radici culturali del Vecchio Continente («non abbiamo bisogno di un nuovo paradigma ma di fare sintesi tra quelli che ci sono già e di cui sono simbolo tre città: Atene, Gerusalemme, Roma»), e avanza una proposta per il futuro: «Bisogna», avverte, «investire la realtà con una prospettiva ideale che tenga conto dell'unità di anima e corpo di cui sono fatti gli uomini e i popoli. Da questo punto di vista, il Cristianesimo ha qualcosa da dire perché il pensiero della differenza è entrato in Occidente grazie proprio al Cristianesimo». E aggiunge: «Nessuno Stato nazionale può affrontare da solo le emergenze di oggi, neanche la Gran Bretagna. Quindi l'Europa non è una opzione ma una vera necessità. Però occorre un pensiero forte e una politica capace di esprimerlo». Il dibattito s’inserisce nel ciclo di dialoghi sul futuro dell’Europa e la prima conseguenza sul futuro, in caso di uscita della Gran Bretagna, secondo Prodi, è che si rafforzerà il «primato tedesco. Finora la presenza britannica era come un bilanciamento». In ogni caso, nessun dramma: «Non è la fine del mondo», precisa, «il vero problema è che prima con la crisi economica e ora con la gestione dei migranti è venuta meno la solidarietà tra i popoli e ognuno si richiude in se stesso. Pensiamo ai paesi dell’Est o alle scelte antieuropeistiche della Polonia cattolica».
«Se guardiamo al passato torniamo a farci la guerra»
Il
cardinale Scola rimarca l’inizio del cammino europeo: «Siamo partiti dal
carbone e dall'acciaio, non da ideali astratti», ricorda. «Queste materie prime
hanno permesso di dare un'impronta ideale a quel primo associarsi, che aveva
alla base una visione singolare della persona e della libertà fino alla
scoperta della dimensione anche civica delle religioni». E oggi? «La
natura plurale della società europea obbliga a trovare insieme un elemento
unificante, questo è un punto ineludibile», spiega il Cardinale. «Possiamo fare
nostra la saggia posizione di Maritain che già nel 1947 vedeva tale elemento
nel bene sociale e primario del vivere insieme. Dobbiamo vivere insieme e
quindi trasformare questo bene in una scelta politica: ognuno deve narrarsi e
lasciarsi narrare per tendere al massimo del riconoscimento possibile. I
problemi che ci attanagliano chiedono questo paradigma nuovo di pensiero e di
attività politica che lo supporti».
All’Europa
oggi più che mai non serve guardarsi indietro: «Se guardiamo al passato», spiega Prodi, «non c’è spirito europeo e ritorneremmo a farci la guerra. E
anche lo spirito cristiano è stato frammentato dalle guerre di religione.
Pensiamo agli Stati italiani del Rinascimento, quando c'è stata la prima
globalizzazione con la scoperta dell’America non siamo riusciti a costruire
insieme Caravelle, così siamo scomparsi dalla storia. O costruiamo le nuove
Caravelle che sono colossi, come ad esempio
Google, o spariremo di nuovo. La nostra forza economica è pari
all'America o alla Cina, ma non abbiamo capito il senso del dramma della
globalizzazione. Il cosiddetto populismo, infatti, non a caso, riprende valori
regressivi. Ciò che sta avvenendo al mondo ci porterà davvero alla catastrofe,
con l'aggravarsi delle differenze nella ridistribuzione della ricchezza e se
non mettiamo attenzione alla distruzione della classe media. Laddove il numero
delle persone angosciate e insicure aumenta, mancherà il collante europeo.
Abbiamo bisogno di ricomposizione della giustizia e dell'equità per ricompattare
l'Europa. L'unione non si fa per settori ma per un nucleo forte di Paesi e, in
questo, è fondamentale il ruolo della Germania. Se il risultato della Brexit fosse l’uscita della
Gran Bretagna bisognerà sforzarsi di creare un'unione più stretta tra alcuni
Paesi, che, comunque, va operata a prescindere dal risultato».
Il futuro, per Prodi, passa dalla
scommessa di riuscire a «costruire unità in un’Europa che divenga più “soglia”
in termini di solidarietà» e auspica, per questo processo, il contributo di Italia e Francia.
I leader "barometrici"
C’è
in quello che il cardinale Scola chiama «travaglio» dell’Europa anche e
soprattutto un problema di leadership politica. Dice Prodi: «La crisi del ‘29
produsse Roosevelt e Keynes, oggi non vedo nessuno di quella statura. Nelle
democrazie di oggi i sondaggi sono diventati un oracolo, i leader sono
“barometrici”. L’orizzonte, per molti di loro, è vincere le prossime elezioni.
Ma se la Germania, che è la guida egemone oggi in Europa, deve tenere in
considerazione gli elettori della Baviera non potrà evidentemente pensare ai
greci». Chiude Scola: «Si dice che ogni popolo ha i capi che si merita, anche
se non è del tutto vero. La questione per il futuro dell'Europa è la riscoperta
di un concetto adeguato di cittadinanza per cui il polo della persona e della
società restino correlati e indivisi. Il populismo vitupera la società civile,
ma per la mia esperienza – pensiamo all’associazionismo o al volontariato che
vedo sul territorio girando le parrocchie – noi abbiamo una società civile che
ha una ricchezza assolutamente straordinaria. È lì che dobbiamo trovare lo
spazio di una cittadinanza nuova. Ora siamo chiamati a battere una strada di
multiculturalità, ma le radici della cultura cristiana, che ha creato una base
comune, credo che abbiano ancora la possibilità di offrire nuovi paradigmi che
non si possono generare a tavolino, ma solo attraverso la vita. La storia
avanza per processi che vanno governati».