(Sopra: l'ex sindaco conservatore di Londra Boris Johnson, favorevole all'uscita della Gran Bretagna dall'Europa)
In Inghilterra in questi giorni se ne sentono di tutti i colori. Amici istruiti, intelligenti e anche religiosi, cattolici, persone, di solito, di buon senso e aperte voteranno per il Brexit. Un’ amica medico condotto dice che non ne può più di “tutti questi polacchi che telefonano senza sapere la lingua e i traduttori ci costano un sacco di soldi”. Un’altra, brava infermiera, sostiene che il servizio sanitario è preso d’assalto dagli stranieri e, anche lei, non ne vuole sapere più dell’Europa. “Voglio out”,dice. Eppure mio marito, che lavora all’università e tanti altri nostri amici, professori e ricercatori, sono disperati perché sanno che gli atenei, da sempre, vivono di accademici che arrivano dalla Francia, l’Italia e gli altri Paesi. Se la Gran Bretagna si staccherà da Bruxelles una fonte vitale di reddito per tutte le università, le sponsorizzazioni dei progetti dell’Unione Europea, si asciugheranno. E la mia parrucchiera? Quando le chiedo come voterà il viso si fa smarrito, quasi tormentato. «Non ne ho idea. Come faccio a decidere?».
Sì, proprio. Come fa a decidere la gente comune, occupata a curare i figli, preparare la cena, andare in ufficio del destino del Regno Unito e dell’Europa? Come possono sapere quello di cui radio, televisioni e giornali parlano in modo ossessivo. Se conviene oppure no al Regno Unito restare nella Ue. Questa non è una decisione da referendum, ha scritto l’Economist. E’ una scelta per politici professionisti. Eppure sarà proprio quel terzo dell’elettorato, ancora indeciso, a una settimana dal voto a determinare il destino dell’Europa e del mondo. E l’unico criterio è quello dell’interesse nazionale. Perché, si sa, dal 1975 quando il Regno Unito votò, con un clamoroso sì, per entrare nella Comunità economica europea nell’unico altro referendum in cui venne chiesto al popolo di decidere, l’Europa è sempre stata, qui, soltanto una questione di convenienza economica.
Non di ideali, non di appartenenza, non di visione del futuro. Ed è su questo terreno che si combatte la battaglia, lo scontro frontale, tra le due anime del partito conservatore che hanno voluto questa consultazione. Con il premier David Cameron e il suo ministro del Tesoro e delle finanze George Osborne a ripetere che, se vince il Brexit, saranno danneggiate le pensioni, i risparmi, le esportazioni. E i loro oppositori il ministro per la giustizia Michael Gove e l’ex ministro del welfare Iain Duncan Smith che sostengono che il premier e il Cancelliere inventano cifre per terrorizzare l’elettorato. Ogni giorno ministri del governo pro e contro Brexit si alternano accusandosi a vicenda di dire bugie mentre sanno che quel Boris Johnson che guida il partito “Leave”, di chi se ne vuole andare, punta soltanto ad eliminare Cameron per entrare a Downing Street.
Insomma la Gran Bretagna sembra impazzita perché quella lotta intestina tra i Tories che guardano al passato dell’impero e delle ex colonie e chi punta sul futuro dell’Europa sta travolgendo tutto il Paese, importando qui una bestia che non è mai esistita: il populismo. Del quale è campione proprio quel Boris Johnson rampollo delle classi ricche, istruito nella prestigiosa scuola privata di Eton e a Oxford che si presenta come il campione della povera gente vittima della burocrazia di Bruxelles e delle multinazionali. E nel campo “Leave” le cifre si inventano senza preoccupazioni e si parla di 350 milioni di sterline alla settimana mandate alla Ue. O di migliaia di musulmani che premono alle frontiere pronti ad assalire le donne inglesi come ha detto Nigel Farage, il leader del partito Ukip, fondato qualche anno fa, proprio per portare il Regno Unito fuori dall’Europa, l’altro grande populista, insieme a Johnson, di questa consultazione.
Soltanto venerdì prossimo sapremo se gli elettori hanno avuto buon senso. Se si sono guardati attorno e hanno visto gli italiani, gli irlandesi, i francesi e chi viene dall’est europeo e si sono accorti che contribuiscono, da sempre, alla ricchezza di questo Paese e possono convivere benissimo con indiani e pakistani, americani, canadesi e australiani che arrivano dalle ex colonie. Se hanno capito che il Commowealth delle ex colonie non esclude la Ue e le due istituzioni possono convivere come hanno sempre fatto.
Perché se il Brexit prevale a spezzarsi non sarà soltanto l’Europa ma anche il Regno Unito. La Scozia, da sempre fortemente europeista, quasi sicuramente, chiederà un altro referendum sull’indipendenza desiderosa di rimanere con Bruxelles anziché con Londra. Per non parlare degli irlandesi, legati economicamente al Regno Unito, ma, col cuore, da sempre fortemente europei. Perché le radici dell’Unione, hanno ricordato i vescovi cattolici in un comunicato, nel quale hanno chiesto ai fedeli di prendere il voto seriamente, pregando e mettendo al primo posto giustizia e pace, si ritrovano nel cristianesimo di un’Europa che mette al primo posto la persona. E sono tanti leader cristiani, compreso il Primate anglicano Justin Welby a dire no al Brexit e all’Europa dei nuovi nazionalismi.