(Nella foto: James Hansen, direttore del Britaly Post)
Gli italiani di Londra sono “una città italiana” più grande di Bari o Bologna, che al ritmo dell’esodo attuale dovrebbe superare Torino entro un anno. Avevano bisogno del loro giornale: dall’1 ottobre è online il quotidiano Britaly Post (www.britalypost.com), in edizioni gemelle nelle due lingue, con redazioni a Londra, Roma e Milano. A dirigerlo non c’è né un italiano, né un inglese, ma un americano dalla carriera eclettica, James Hansen. Giovane diplomatico con Kissinger e al consolato di Napoli, poi addetto stampa e giornalista, ha già diretto la rivista di geopolitica East e altri periodici. In una notte del 1989 fu il protagonista di un “passaggio” sorprendente: disse arrivederci all’Olivetti di De Benedetti, dove era capo ufficio stampa, e si ritrovò a Segrate, alla Fininvest del suo miglior nemico Berlusconi. La Standa, “casa degli italiani”, iniziò a parlare con accento piuttosto americano.
James, come è nata l’idea del Britaly Post?
Dai numeri di Londra. Gli italiani residenti sono 260mila, ma altrettanti sono quelli che vi abitano in modo stabile. Ogni mese sono duemila le nuove registrazioni all’anagrafe, con un incremento del 71,5%. Poi ci sono gli italiani che ci vanno per lavoro almeno una volta al mese e i turisti: secondo i dati delle linee aeree, lo scorso Capodanno gli italiani a Londra erano un milione. Il Britaly Post nasce da una mia idea, incoraggiato dall’ex direttore dell’Economist Bill Emmott, che è diventato uno dei nostri rubricisti. L’azionista è il romano Fabio Petroni, capo di Terravision Bus, la società che si occupa dei trasporti verso le città in 40 aeroporti di otto paesi.
Quindi gli italiani a Londra sono il vostro pubblico?
Più in generale tutti gli italiani interessati a Londra. Secondo un sondaggio De Agostini, il 16% dei laureandi dice di prendere in considerazione l’idea di emigrare nella capitale inglese: anche chi poi non lo farà, è un lettore tipico per il Britaly Post. Così come gli 80mila italiani che vanno a Londra almeno una volta al mese per affari, dal dirigente d’azienda alla signora che ha una boutique in Italia e una gemella nel Regno Unito. Non sarà tanto un giornale per parlare dell’Italia agli italiani di Londra, per questa funzione si leggono i grandi quotidiani nazionali. Piuttosto per raccontare e spiegare la Gran Bretagna agli italiani: quando arrivai a Napoli nel ’75, sfogliavo Il Mattino ma non capivo quasi nulla. Non è un problema linguistico; nella scorsa settimana abbiamo riportato che il Dipartimento dell’Educazione inglese vuole vietare le palestre ai ragazzi sotto i sedici anni perché promuovono un modello di mascolinità sbagliata: in Italia una proposta analoga sarebbe inconcepibile. Poi, grazie agli articoli bilingue (almeno 12 al giorno con le relative traduzioni), il Britaly Post può essere un’occasione per imparare l’inglese.
Chi sono gli italiani che vanno a Londra?
Il 65% degli iscritti all’anagrafe negli ultimi due anni ha tra i 18 e i 35 anni. Più che una fuga di cervelli, è una fuga di energie: a Berlino si va perché si cerca lavoro, a Londra per tentare il salto di carriera e migliorare l’inglese. Le due cose si combinano: si inizia lavando i piatti e intanto si impara la lingua; è letteralmente facile trovare lavoro e molti riescono nel salto professionale. La comunità italiana è divisa in modo netto: un gruppo di gente in carriera e abbiente, accanto ai ragazzi che servono nei ristoranti. Vivono più che altro in centro, abitato ormai soprattutto da stranieri; quando invece formano una famiglia, come gli inglesi, si spostano verso i sobborghi dove una casa più grande costa meno. Gli stipendi non sono elevati, un cameriere prende 800 sterline (1070 euro), ma le tasse sono decisamente inferiori e un giovane disposto a condividere una stanza, vive senza problemi: lo abbiamo mostrato in un servizio che analizza 100 annunci tipo di camere in affitto.
Siamo di fronte a un nuovo esodo dall’Italia?
Non ha nulla a che fare con l’emigrazione italiana del Novecento, quella della valigia di cartone. Sono ragazzi più qualificati, molto più collegati all’Italia: le telefonate verso la “madrepatria” costano pochissimo, le mamme vanno spesso a trovare i figli con cui fanno shopping a Londra, mentre i ragazzi tornano con pochi euro per tutte le feste comandate. Se i ragazzi inglesi abbienti di una volta facevano il giro del Continente, ora le famiglie borghesi italiane hanno un figlio che va a Londra per un periodo. Negli Stati Uniti si emigrava per tornare dopo decenni, alla fine della vita produttiva, mentre nella capitale inglese i giovani vanno e vengono di continuo. Si tratta della futura classe dirigente italiana, formata in un certo modo e da ragazzi che si conoscono tra di loro. Quando torneranno, avranno assorbito un modo di vivere – per esempio quello di una società liberale da un punto di vista economico – che si scontrerà con le diversità italiane. Come reagiranno? Non è del tutto prevedibile, a me ricordano i ragazzi oriundi che nel ’75 tornavano a Napoli dagli Usa: avevano sognato l’Italia per decenni, ma poi non riuscivano ad abituarsi all’assenza del telefono ogni giorno.
Come gli inglesi vedono gli italiani?
Bene, a differenza per esempio delle comunità asiatiche. Quando il ministro dell’Interno May dice di voler limitare gli ingressi, non pensa certo agli italiani, già ben scolarizzati. Un nostro servizio della scorsa settimana mostra che su 100 lavori disponibili per giovani, una quindicina prevedeva la lingua italiana come una qualifica aggiuntiva apprezzata, dal doppiatore alla baby-sitter bilingue. È storico il rapporto sentimentale degli inglesi verso l’Italia, anche se in versione un po’ “mandolinara”. Una chiave di questa ammirazione sono le belle donne, il vestirsi bene e la cucina che ha superato in chiccheria quella francese. Prima gli inglesi non si rendevano conto di quando mangiavano bene o male, ora sanno riconoscerlo. Del resto, il loro piatto tipico era il “poco raffinato” Beans on toast, fagioli in scatola rovesciati su un toast, mentre oggi il piatto più servito nelle case britanniche è lo Spag Bol, gli spaghetti alla bolognese.
E gli italiani come vedono gli inglesi?
Non come modelli di vita. Sono contenti di essere italiani, fanno gli “inglesi” solo quando tornano in Italia... Vorrebbero sapere la lingua come i londinesi, sono filobritannici e si trovano bene in Inghilterra, ma pensano anche di avere molte cose da insegnare agli inglesi, da come ci si veste bene a come si fa un vero espresso. Sono consapevoli che Londra è una città dalle mille occasioni, ricca di opportunità lavorative e altrettanto un “parco divertimenti” pieno di giochi nuovi. Vivono delle difficoltà, ma ben superabili: non sono in Cina, ma in una “città italiana” più grande di Bologna o Bari.
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