L'economista Luigino Bruni. In alto: il ministro dell'Economia Pier carlo Padoan.
“La Manovra sembra risentire nel clima referendario. Ma mi lasci prima premettere una cosa:riforme del genere non dovrebbero essere i Governi a farle. Ci vorrebbe un’assemblea costituente, come quella che ha prodotto la nostra Carta. Ci vorrebbe la società civile a rappresentare il Paese”. L’economista Luigino Bruni, tra i maggiori studiosi italiani di economia di comunione e di economia civile, (insegna alla Lumsa di Roma) non è molto tenero nel giudicare le riforme costituzionali l’ultima Legge di Stabilità di Renzi e Padoan.
Perché non vuole affidare le riforme della Costituzione al mondo politico?
“Perché la politica ha attratto rappresentanti non all’altezza del paese. Se noi pensiamo che i Parlamenti possano produrre quel salto morale che serve per una riforma costituzionale con le persone che abbiamo mandato nei Parlamenti, produciamo solo una pia illusione. I cittadini dovrebbero mandare persone che vengono dal mondo della scienza, della cultura, della Chiesa, dell’economia. Negli ultimi 20 o 30 anni le persone migliori del Paese non hanno quasi mai fatto i politici, a parte le dovute eccezioni. Se continuiamo a pensare che queste riforme le debbano fare i Governi, a colpi di maggioranza” siamo semplicemente degli illusi.
Veniamo alla manovra: come le sembra?
“Non ci vedo una grande visione strategica dietro. Sembrano grandi interventi cerchiobottisti di breve periodo”.
Un colpo al cerchio e uno alla botte per assicurarsi il massimo consenso possibile?
“Mi pare abbastanza evidente. Ci sono questi interventi ai pensionati (oltre tre milioni si vedranno ricevere la quattordicesima o aumenti nella quattordicesima, un bacino enorme) che sono i maggiori candidati alla funzione elettorale referendaria. Gli anziani, come è noto, sono più propensi ad andare a votare dei giovani”.
Viene anche cancellata Equitalia per accorparla all’Agenzia delle entrate.
“Equitalia di fatto era già fallita, intrappolata tra le more e tutti quegli infiniti contenziosi di fatto inesigibili. I debiti passati ormai erano incagliati come i prestiti delle banche. Hanno solo scelto il momento buono per chiuderla”.
Dunque anche lei concorda con il giudizio di manovra a misura di “sì” al referendum…
“Purtroppo è il contesto che è inevitabilmente elettorale dopo che il premier Matteo Renzi ha trasformato il referendum in un test pro o contro il suo Governo. Qualunque cosa avessero messo dentro la manovra sarebbe risultata di sapore propagandistico. Le critiche che ho appena fatto in realtà vanno un po’ ridimensionate. Una cosa è certa: non si doveva fare un referendum di questo tenore nel bel mezzo di una manovra economica”.
Entrando un po’ più dentro questa manovra cosa si può dire?
“Gli interventi sul mercato del lavoro, la “flat tax” per le partite Iva al 24 per cento e la riduzione dell’Ires e dell’Irpef in agricoltura sono abbastanza condivisibili, anche se si perde quella progressività fiscale che è sancita dalla Costituzione. Gli incentivi al lavoro sono molto fragili perché il lavoro viene meno quando gli incentivi sono finiti. Queste manovre servono solo a dare ossigeno a un cardiopatico che sta in montagna. Ma se il malato non lo riporti in pianura non guarirà mai. Servono interventi strutturali”.
Il Governo poteva fare di più?
“Il Governo può fare poco, anche se non lo può dire. Noi continuiamo a ragionare con categorie del Novecento pensando che dalle crisi si esca attraverso le politiche economiche del re, del dittatore, del premier, del presidente e così via. Questo mondo è finito con la globalizzazione. In realtà i Governi possono fare poco, non più del dieci per cento, perché le scelte più importanti – il 90 per cento - avvengono in Europa e nei mercati transnazionali”.
Da dove dovrebbe partire il Governo per fare quel poco?
“Dai giovani. La disoccupazione giovanile è spaventosa, e vede un sistema Paese a cui manca una strategia di medio e lungo periodo. Ci vorrebbero riforme più corpose, quella sulla giustizia civile, sull’università, sull’istruzione. Ormai c’è uno scollamento pauroso tra il mondo del lavoro e questi mondi. Mi dica ormai quale persona impara un lavoro a scuola. Servirebbe anche un grande piano per il part-time obbligatorio degli over 55 in modo da far spazio ai giovani. L’innovazione si fa con i giovani, non con i 55enni. Se non facciamo entrare i giovani nel mercato del lavoro come possiamo pretendere che le imprese innovino? Un mondo del lavoro senza giovani è un mondo senza creatività, energia e gioia”.