È un gradino sopra il tango o le empanadas, fagottini di pasta ripiena cotti al forno, uno dei suoi piatti preferiti. Forse se la gioca con il dulce de leche, un dessert tutto latte, zucchero e vaniglia che va mangiato da solo, semifreddo, o con gelato. Il calcio identifica Jorge Mario Bergoglio e appassiona (ancora) papa Francesco. Fa parte delle sue radici. La sua squadra del cuore, il San Lorenzo di Buenos Aires, nasce nel 1908 come bandiera del quartiere di Almagro, lo stesso che l’ha visto venire al mondo. E porta il nome del prete salesiano che aprì le porte dell’oratorio ai ragazzini che fin lì si sfidavano in strade sempre più pericolose a causa del numero crescente di auto e mezzi pubblici: don Lorenzo Massa, così si chiamava il sacerdote (anch’egli di origini italiane, piemontesi per la precisione), volle che i giovani frequentassero la sua struttura dopo che uno di loro finì sotto un tram mentre giocava una partita.
UN PALLONE, TANTI VALORI
Quello stretto legame tra territorio, Chiesa e sport l’ha raccontato lo stesso Pontece a Torino, il 21 giugno 2015, nella basilica di Maria Ausiliatrice, cuore del mondo di don Bosco, mettendo da parte il discorso scritto per parlare a braccio, sciogliendo le briglie ai ricordi. «La mia famiglia», confidò in quell’occasione, «era molto legata ai Salesiani. Appena arrivato in Argentina (nel 1929, ndr), mio papà è andato dai Salesiani, nella Calle Solìs, nella parrocchia di San Carlo, dove ha conosciuto tanti religiosi, affezionandosi subito a una squadra di calcio fondata da un salesiano con i ragazzi di strada. Quel prete diede alle maglie i colori della Madonna, rosso e blu. Non so cosa ne pensiate voi, ma per me il San Lorenzo è la migliore squadra d’Argentina, tante volte campione...».
Vero. Il San Lorenzo annovera nel medagliere 15 scudetti (l’ultimo nel 2013, lo stesso anno in cui Bergoglio fu eletto Papa), oltre a una Coppa Libertadores (la Champions League sudamericana), conquistata nel 2014, e una Coppa Sudamericana (l’equivalente dell’Europa League), vinta nel 2002. Tra i suoi tifosi, conta anche Jorge Mario Bergoglio, tessera numero 88235. Il Papa ha ricevuto almeno due volte i suoi beniamini (nel 2014 e qualche mese fa, nel settembre 2016, prima dell’amichevole beneca con la Roma).
Si ha notizia, a onor del vero, anche di altri incontri, come quelli avuti con delegazioni o squadre al completo (Roma, Lazio, Napoli, Fiorentina, Milan, Juventus e Sampdoria) nonché con alcuni singoli giocatori come l’argentino Javier Zanetti, già capitano dell’Inter, o come Alessandro Del Piero, ex capitano della Juventus.
Alla sua passione per il calcio e per lo sport in generale papa Francesco ha fatto più volte ricorso per spronare tutti a costruire la «“cultura dell’incontro”, che permetta la pace e l’armonia tra i popoli; il fair play; il rispetto degli avversari». C’è molto da imparare, ha ribadito spesso il Santo Padre, perché «nel gioco di squadra bisogna pensare in primo luogo al bene del gruppo, e non a sé stessi», vincendo «l’egoismo», nonché «tutte le forme di razzismo, d’intolleranza e di strumentalizzazione della persona umana».
Circa la sua passione specifica per il San Lorenzo, infine, Francesco ha scelto – a un certo punto – di isolare una data, il 1946, e un evento: la conquista dello scudetto, che la sua squadra vinse interrompendo il predominio di River Plate e Boca Juniors. Un muovere a ritroso le lancette del tempo, il suo, capace di generare stupore, nostalgia e tenerezza. Quell’anno, il 1946, appunto, mentre in Italia il Grande Torino mieteva successi trascinato da campioni come Bacigalupo, Mazzola, Castigliano e Ferraris II, in Argentina il San Lorenzo si beava del “terceto de oro” Farro-Pontoni-Martino, un tridente implacabile nel macinare gol. «Vediamo se qualcuno di voi riesce a fare un gol come quello di Pontoni...», disse il Papa il 13 agosto 2013, davanti a Messi, Pirlo, Higuain e altri fuoriclasse.
QUEL GOL, NEL 1946.
Quel Pontoni, sconosciuto ai più, era René Alejandro Pontoni, un attaccante di razza, tanto bravo quanto sfortunato: pochi mesi dopo la vittoria del campionato, un’entrata dura di un difensore gli fece saltare rotula, menisco e legamenti. Tornò a giocare, ma in campo non fu più lo stesso. Si è arrivati a scoprire qual è stato il gol rimasto impresso nel cuore di Francesco. L’indizio decisivo l’ha dato Bergoglio stesso all’attuale presidente del San Lorenzo, Matias Lammens: «Andavo allo stadio con mio padre, nel 1946», gli ha raccontato. «Mi ricordo un gol di Pontoni che fece tac, tac, tac, gol». Anche se la descrizione può apparire un po’ vaga, i dubbi sono ridotti al minimo, Dev’essere la rete col Racing, il 20 ottobre 1946. Cross di Francisco De La Mata, palla al limite dell’area. Stop di petto (tac), la palla scende al piede ma Pontoni, invece di fermarla, alza un pallonetto scavalcando i due difensori. Secondo tac. Il terzo tac è il tiro. Imparabile.