Insieme con il Sars cov2 c’è un altro virus che sta venendo allo scoperto. Quello di una cultura che considera le persone soltanto in base alla loro prestanza, efficienza, forma fisica, produttività. L’"infortunio linguistico", se vogliamo chiamarlo così, del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti che twitta «solo ieri tra i 25 decessi della Liguria 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate», ha in realtà sintetizzato quello che via via sempre più persone vanno affermando. E cioè che per permettere ai giovani di continuare movida e vita quotidiana come se nulla fosse, gli anziani e le persone fragili andrebbero “tutelate” chiudendole in casa e impedendo loro ogni forma di mobilità. Tralasciando l’incostituzionalità che avrebbe un simile provvedimento (per altro già sottolineata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella quando la discussione si era affacciata nel primo lockdown) colpisce quanto stia attecchendo questa cultura dello scarto. Una cultura per cui le persone fragili, tanto più se in là negli anni sono considerate un peso, un costo, un freno per chi vuole continuare a correre senza limiti. Risuonano le parole di papa Francesco che, nel giorno dei Santi Pietro e Paolo, come già aveva fatto tante volte in passato, aveva chiesto di pensare ai «tanti anziani che sono lasciati soli dalla famiglia come se fossero materiale di scarto. La solitudine degli anziani è un dramma del nostro tempo».
Anziani che sono invece preziosi come memoria, come radice, come saggezza, come testimonianza di quell’amore che passa tra le generazioni. Che ci ricordano, sono sempre parole del Papa, «che la vecchiaia è un privilegio, non una malattia». Un Paese che sa stare al passo con gli ultimi, che riconosce il valore di ogni vita umana, anche di chi ha un handicap, una malattia, una condizione che lo rende vulnerabile, è un Paese che salvaguarda la vita di tutti. Tutelare chi ha, per età, condizione fisica, materiale, culturale, una qualunque fragilità significa mettere in sicurezza la società nel suo insieme. E, seppure in seguito alle aspre polemiche che ne sono seguite il governatore ha fatto inserire dal suo staff un commento che spiega che le parole di Toti sono state fraintese, il dibattito in realtà serpeggia in alcuni strati della popolazione. Un pericolo, quello di abbandonare le persone più fragili con la scusa di volerle “tutelare”, che ci farebbe perdere il contatto con gli affetti più cari e con la nostra umanità. Con il rischio di tornare a invocare la rupe Tarpea (come pure qualcuno ha fatto anche di recente per i disabili) o il monte Taigeto da cui secondo la leggenda gli spartani facevano precipitare i neonati deformi o troppo deboli. La pandemia dovrebbe insegnarci che non si può barattare la vita di un nonno con la “libertà” di bere uno spritz. Che per tutelare i più fragili (e ciascuno di noi può esserlo in qualche fase della sua vita o persino senza saperlo) dobbiamo saper rinunciare, almeno per un po’, a ciò che non è essenziale. Sapendo che l’unica cosa che conta è la vita umana, ogni vita umana. E che non possiamo vivere in un mondo dove «si scartano gli anziani con la pretesa di mantenere un sistema economico "equilibrato", al centro del quale non vi è la persona umana, ma il denaro. Siamo tutti chiamati a contrastare questa velenosa cultura dello scarto! Noi cristiani, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, siamo chiamati a costruire con pazienza una società diversa, più accogliente, più umana, più inclusiva, che non ha bisogno di scartare chi è debole nel corpo e nella mente, anzi, una società che misura il proprio "passo" proprio su queste persone».