Gorbaciov nel 2000 in sala stampa vaticana in occasione di un volume dedicato al cardinale Casaroli.
Ci sono compleanni e compleanni. E i novant’anni di Mikhail Sergeevic Gorbaciov, che ricorrono oggi, non possono passare sotto silenzio. Anche se la Russia attuale poco gli somiglia e vorrebbe soprattutto dimenticarlo, esclusi i non pochi che lo detestano e lo considerano il “padre” di tutti i mali passati, presenti e futuri del Paese. Era inevitabile che finisse così. Troppo facile imputare la nudità del re a chi la segnala. E non dobbiamo dimenticare che, in ogni caso, proprio con la perestroyka (ristrutturazione, la parola d’ordine che lanciò appena eletto segretario generale del Pcus, a una riunione di partito a Leningrado) di Gorbaciov si aprì per i russi un periodo di sconvolgimenti epocali e drammatici che sarebbe finito solo con l’avvento di Vladimir Putin. Ma noi non russi, noi occidentali non possiamo permetterci di trascurare un uomo alle cui decisioni dobbiamo parte importante del mondo in cui viviamo, dell’Europa che abitiamo, delle esperienze che facciamo.
Gorbaciov a Stoccolma nel 1990, alla cerimonia del Nobel per la pace.
Nella storia di Gorbaciov c’è una quota di mistero che non riusciremo mai a chiarire. Lui veniva da Stravropol’, nel Caucaso settentrionale, un’ex avamposto militare fatto costruire dalla zarina Caterina II. Provincia, insomma. Giovane e appassionato militante, laureato brillante, funzionario di partito dedito e preciso. Come altri. Nel 1970 diventa segretario regionale del Pcus, nel 1979 viene chiamato a Mosca, premessa indispensabile per qualunque ascesa, e diventa membro effettivo dell’Ufficio politico del Partito (Politburo). Si saprà più tardi, ricostruendo la sua storia, che già in quel periodo ha idee e frequentazioni riformiste. Ben dentro l’ortodossia, però, senza stravaganze. Naviga discreto nei corridoi del Pcus, sale senza farsi notare. Tanto che nel 1984 fa parte della delegazione sovietica ai funerali di Enrico Berlinguer e nessuno si accorge della sua presenza.
Fulvio Scaglione. L'autore di questo articolo è stato corrispondente da Mosca per Famiglia Cristiana negli anni della perestroyka.
E invece è proprio lui che poco dopo, l’11 marzo del 1985, diventa segretario generale del partito comunista sovietico, a 54 anni il più giovane di tutti i tempi. Una precocità esaltata dalle tristi immagini del predecessore, Konstantin Cernenko, un ex collaboratore di Brezhnev che rimane in carica appena un anno, passato quasi tutto in ospedale. Prima ancora c’era stato l’anno e mezzo, intensissimo, di Jurij Andropov, che da presidente del Kgb diventa leader dell’Unione Sovietica. Un passaggio fondamentale per capire Gorbaciov, per due ragioni. La prima è che anche Andropov sapeva che le cose andavano male nell’Urss, e voleva cambiarle. Anche se al modo sbrigativo della Lubyanka: licenzia decine di ministri e alti funzionari del partito, pretende efficienza, ordina dedizione. La seconda è che Andropov, anche lui di Stavropol’, fa da mentore a Gorbaciov e gli spiana l’ultima tappa, la più difficile, quella verso il vertice.
Con Gorbaciov è subito perestroyka, come si diceva, e subito dopo (1986) glasnost’, trasparenza, slogan che fanno in un lampo il giro del mondo, anche perché lui comincia a viaggiare per il Patto di Varsavia come un manifesto vivente del cambiamento possibile. L’Occidente lo ribattezza Gorby e osserva stupito e felice il suo attivismo, senza capire una cosa fondamentale: Gorbaciov crede nell’Unione Sovietica e nel suo futuro, è convinto che si possa riformarla e rimetterla in sesto rendendo più trasparente il sistema politico e più efficiente l’economia. Aveva torto, come abbiamo visto. Ma come non rendere omaggio a tanto sogno? Come non ricordare il coraggio di un uomo, e di quel pugno di suoi collaboratori, che era sempre più stretto nella tenaglia tra i democratici radicali e i nostalgici conservatori ma intanto smantellava gli arsenali di missili nucleari, ritirava l’Armata Rossa dall’Afghanistan, faceva crollare il Muro di Berlino?
Non fu tutta e sola gloria, ovviamente. La drammatica esplosione del reattore di Cernobyl (1986), i moti nazionalisti nel Caucaso (con i pogrom contro gli armeni in Azerbaigian nel 1990, l’anno in cui Gorby riceve il Premio Nobel per la Pace), la repressione violenta dei movimenti indipendentisti nel Baltico (1991), con i loro strascichi, restano macchie incancellabili. Ma vanno accanto alla scarcerazione dei prigionieri politici, alla libertà di stampa e di associazione, alla libertà di intrapresa economica concessa a vasti settori dell’industria e del commercio. Non sono molti quelli che possono vantare un simile corpo a corpo con la Storia. Per cui, e davvero, buon compleanno Mikhail Sergeevic!