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domenica 03 novembre 2024
 
Sepe
 

«Napoli ha bisogno di normalità. L’enciclica del Papa è acqua che disseta»

15/07/2015  «La Laudato si'», dice l'arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, «per noi è acqua che disseta: la parola chiave indicata dal Papa è "responsabilità"». Sui camorristi: «Se non si pentono non c’è posto per loro nella Chiesa». E su Medjugorje: «Alla Congregazione per la Dottrina della Fede non ne abbiamo discusso, né è stata fissata una data. Sarà il Papa a dire l’ultima parola»

Battagliero e categorico. Anche ruvido, se serve. Ha lanciato scomuniche contro i camorristi, fatto appelli contro l’economia malavitosa, strigliato le istituzioni e invitato i suoi preti a non imporre tariffari per sacramenti e servizi religiosi. Non è facile entrare in sintonia con Napoli, un “inferno abitato da santi”, secondo l’antico adagio e dal quale Eduardo in Jatevenne invitava a scappare.

Il cardinale Crescenzio Sepe, 72 anni, arcivescovo dal 2006, c’è riuscito. A cominciare dal napoletanissimo “A Maronna c’accumpagna!” che è diventato quasi il suo secondo motto episcopale. Fuori da largo Donnaregina, dove lo incontriamo in Curia, a due passi dalla cattedrale, i cassonetti colmi di spazzatura restituiscono la Napoli di sempre: bellezza e degrado, genio e miseria. «Il valore aggiunto dell’enciclica del Papa», dice il cardinale, «è dato dalle ferite che la nostra gente si porta dentro sul piano della vivibilità ambientale, e per le grandi questioni ecologiche che ha dovuto affrontare e che hanno martoriato e offeso la bellezza e la storia di questa terra, facendola irridere dal mondo intero». Sul tavolo c’è l’ultima lettera pastorale firmata da Sepe intitolata Dar da bere agli assetati con il dipinto del Caravaggio conservato al Pio Monte della Misericordia.

Eminenza, qual è il filo rosso che lega la sua lettera all’enciclica?

«La “coscienza ecologica” a cui richiama il Papa con la Laudato si’ non è solo difesa dell’ambiente e del Creato ma dev’essere rispetto della persona, della legge, degli interessi generali e, quindi, lotta all’abuso, alla prepotenza e alla violenza».

E tutto questo come si realizza?

«La parola chiave è “responsabilità”. Non si è buoni cristiani se non si è al contempo anche buoni cittadini. Sia chiaro: se la nostra comunità non si evolve e non matura è perché anche tu cristiano non hai dato quel contributo che avresti potuto e dovuto dare. La fede non è soltanto andare a Messa e ricevere i sacramenti, ma agire per il bene comune a partire dai più poveri, gli ultimi, e dalla custodia del Creato».

Che in questa Terra è stato e continua a essere violentato...

«Sì, a causa di un’edilizia senza scrupoli e senza rispetto delle regole. Poi c’è il problema, rimasto ancora irrisolto, dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani fino alla tragica vicenda della “Terra dei fuochi”. Tutto questo accade perché mancano senso civico oltre a una responsabilità individuale e collettiva rispetto al bene comune. Il Papa nell’enciclica insiste molto su questi aspetti. Ecco perché la Laudato si’ per noi è acqua che disseta e lascia intravedere un percorso di bonifica pastorale e sociale».

Chi sono gli assetati di oggi a Napoli?

«L’acqua materiale non manca da nessuna parte. Ma se a Scampia c’è anche povertà materiale, nei quartieri bene, dal Vomero a Posillipo, c’è abbondanza di cose, ma sete di Dio. Lo si è messo da parte, come se non esistesse. Questo si traduce in sete di giustizia, verità e libertà. Non mi preoccupa però la sete, ma il fatalismo secondo la quale non si può fare nulla per colmarla».

Anche all’interno della Chiesa?

«No, con i miei preti, i laici, i religiosi stiamo combattendo una grande battaglia contro quest’arrendevolezza che s’insinua nei cuori, in silenzio. L’intellettuale si chiude in sé stesso, il professionista si fa i fatti suoi, il giovane molla tutto e se ne va. Il pessimismo, che è il vero male, si coniuga al fatalismo e fa dire che tutto è inutile e si equivale. Ma se Dio si è fatto uomo, noi non possiamo perdere la speranza».

Dove la vede lei, questa speranza?

«Nei giovani degli istituti professionali, anche non cattolici, che si sono messi a disposizione per cucinare e servire i pasti ai poveri nelle mense della città e che le terranno aperte pure ad agosto. Nelle parrocchie che su mio invito, come segno del prossimo Giubileo della misericordia, adotteranno la famiglia di un detenuto. Nei carcerati in affido che lavorano nella Casa della pastorale carceraria diocesana. Nei preti, famiglie, professionisti che collaborano insieme e hanno chiaro il senso di una missione che è comune».

Anche i camorristi sono degli assetati cui la Chiesa deve provvedere?

«Se chiedono perdono e si pentono naturalmente sì, altrimenti per loro non c’è posto nella Chiesa, non possono fare da padrini di Battesimo né essere sepolti con il rito cristiano. Non potendo sfidare la Chiesa a viso aperto, la camorra la strumentalizza e, per propagare il suo antievangelo che uccide in nome del dio denaro, non esita a tirar fuori la Madonna di Pompei o Padre Pio».

Di quale shock positivo ha bisogno Napoli per ripartire?

«Di shock ne ha subiti tanti, purtroppo. Ora ha bisogno di normalità e di maggior fiducia».

Il prossimo anno sono dieci anni che è qui a Napoli. Che bilancio fa?

«Nessuno, vivo giorno per giorno. Questa è una città con tante difficoltà e problemi ma è anche una diocesi che risponde alle sollecitazioni. Da parte dei sacerdoti, laici, giovani c'è una grande apertura e una volontà a collaborare perché si condividono le finalità per cui si collabora. È Dio che opera. Ci siamo messi sul cammino della carità per dare fiducia e speranza alla nostra gente».

Alla Congregazione della Dottrina della Fede avete discusso della vicenda di Medjugorje?

«No. L'ultima riunione c'è stata qualche settimana fa, il 17 giugno, e abbiamo parlato di tutt'altro. Su Medjugorje discuteremo quando tutto sarà pronto per la discussione».

Quando? Dopo l'estate?
«Non lo so, credo di sì. In ogni caso non è stata fissata ancora nessuna data. Il dossier della commissione presieduta dal cardinale Ruini è stato consegnato nella mani del Papa. Quando sarà il momento, noi proporremo al Papa le nostre considerazioni, che non sono decisive, e poi sarà lui a decidere».

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