Marguerite Barankitse con uno dei tanti premi internazionali che ha ricevuto in questi anni per il suo impegno a favore dell'infanzia. In copertina: Marguerite con un gruppo dei bambini di cui si prende cura.
L’ho incontrata a Bujumbura, la capitale del Burundi, il 26 marzo scorso, poche ore prima che lasciasse il Paese. La situazione stava già degenerando per l’intenzione di Pierre Nkurunziza di presentarsi per la terza volta al ruolo di presidente, nonostante il limite di due mandati fissato dalla Costituzione (l’annuncio ufficiale è avvenuto il 25 aprile), e lei non era più al sicuro.
Alta, le mani lunghe e affusolate, il viso liscio e il sorriso luminoso, Marguerite Barankitse, in tutti questi anni, è sempre stata in prima linea nelle battaglie per i diritti civili, la democrazia e la libertà. Argomenti estranei al presidente che non va molto per il sottile con chi non la pensa come lui. «La vita di chiunque si opponga a Nkurunziza è in pericolo. Le persone vengono assassinate qua e là», ha affermato Agathon Rwasa, una figura di spicco dell'opposizione. L’eliminazione di oppositori politici a opera del governo è una prassi nota. L’ultima vittima risale a poche settimane fa, il 23 maggio. Si tratta di Zedi Feruzi, leader del piccolo partito d'opposizione UPD-Zigamibanga (Unione per la pace e lo sviluppo) assassinato in un agguato. Un evento che ha scaldato ancora di più gli animi e che getta una luce sinistra sul prossimo futuro.
Dunque, la soluzione migliore per Maggy, come la chiamano tutti, era quella di allontanarsi: «Sono fragile, ho bisogno di riposare e di raccogliere le forze», mi ha detto durante il nostro colloquio. Ma di fragile, questa straordinaria donna, ha veramente poco, come ha dimostrato nel corso di questi vent’anni, durante i quali ha messo in piedi un’istituzione gigantesca, Maison Shalom, la Casa della Pace, che si occupa di diritti dell’infanzia, istruzione, promozione della salute, formazione professionale, reinserimento sociale. Un impegno a favore della riconciliazione e della ricostruzione del suo Paese per il quale Marguerite ha ricevuto numerosi premi internazionali. Ma cominciamo dall’inizio.
La Maison Shalom, Casa della Pace
Era il 24 ottobre del 1993 quando, ventiduenne, Maggy assistette all’omicidio di 62 membri della sua famiglia di etnia tutsi da parte degli hutu, a Ruyigi, una regione nell’Est del Paese. Fu l’inizio di una guerra che, fino al 2005, ha provocato 300 mila morti.
«Il giorno in cui la mia famiglia fu sterminata, io riuscii a fuggire», racconta. «Sulla strada incontrai persone hutu in pericolo e le condussi con me nella casa del vescovo, dove lavoravo. I tutsi, saputa la cosa, ci raggiunsero, mi picchiarono selvaggiamente e assassinarono davanti ai miei occhi 72 hutu. Fui sopraffatta dall’orrore. Intorno a me c’era un lago di sangue. In quel momento pensai al suicidio. Andai nella piccola cappella del Vescovado e, fuori di me, urlai: «Signore, tu non sei amore!». In quel preciso istante sentii voci di bambini nella sacrestia. Li credevo morti insieme a tutti gli altri e, invece, erano lì, scampati alla carneficina, terrorizzati, a chiedere il mio aiuto. Per me fu come una risposta di Dio. Decisi che dovevo continuare a vivere per loro».
Quei bambini furono i primi 25 ospiti di Maison Shalom che, nel corso di questi ventidue anni, ha preso in carico più di 50 mila minori di tutte le etnie.
Per raggiungere Ruyigi, che si trova a circa tre ore e mezza di macchina da Bujumbura, attraverso il piccolo, verdissimo Paese situato nella regione dei Grandi Laghi. Dal finestrino scorrono piantagioni rigogliose di tè, riso, mais, fagioli, ananas. Viaggio in compagnia di Richard, un ex bambino di Marguerite, soprannominata “La madre di diecimila figli”. Nel 1993, Richard aveva 13 anni e si trovava nella sua casa insieme ai genitori quando alcuni uomini armati diedero fuoco all’abitazione. La mamma e il papà morirono bruciati, lui riuscì a scappare ma sulle braccia e sulla schiena porta i segni indelebili del fuoco che gli ha mangiato la pelle.
Accolto da Maggy, Richard, che oggi ha 35 anni, si è laureato in Economia e ora è il direttore di Maison Shalom. Visito la Scuola internazionale, immersa in grandi prati verdi; “La città degli angeli”: un centro socioculturale sportivo con piscina, biblioteca, un punto internet e un cinema; un’officina meccanica, dove i ragazzi imparano il mestiere; l’ospedale Rema, i bar, le case di ospitalità, i campi coltivati da cooperative di agricoltori e gli allevamenti di animali. Luoghi belli, ariosi e colorati, animati da bambini e adulti in perenne attività.
Migliaia di persone che lavorano, oltre il 50% delle quali “figli” di Maggy. L’Organizzazione non governativa non si occupa solo di orfani di guerra ma anche di bambini soldato, di minori in conflitto con la giustizia, di donne stuprate e di persone che, macchiatesi di crimini, vogliono reintegrarsi nella società.
"Provo un’immensa gratitudine per i miei bambini che mi hanno dato il coraggio di andare avanti"
«Non ho fatto tutto da sola», si schermisce Maggy che, per la sua fede incrollabile, è stata definita la “Madre Teresa africana”. «Molti Paesi del mondo hanno contribuito a realizzare tutto questo. L’umanità è come un puzzle. Se mettiamo insieme i tasselli creiamo una famiglia straordinaria».
Nella sede di Maison Shalom di Bujumbura, dove c’è stata una riunione che si è trasformata in una grande festa, c’è un gran viavai di persone, tutti “figli” di Maggy che, ora, sono diventati grandi, si sono sposati e hanno formato una famiglia. Lei li accarezza con lo sguardo. «Provo un’immensa gratitudine per i miei bambini che mi hanno dato il coraggio di andare avanti in tutti questi anni». Ma è tempo di andare. Giusto il tempo di “raccogliere le forze” e poi Maggy ricomincerà la sua battaglia.