Nuvole nere passano sul Burundi. La decisione del 25 aprile scorso del presidente Pierre Nkurunziza di presentare di nuovo la sua candidatura alle elezioni presidenziali fissate per il 26 giugno nelle settimane scorse ha fatto esplodere proteste e disordini nel Paese per una scelta ritenuta incostituzionale (Nkurunziza sarebbe al suo terzo mandato mentre la Costituzione pone un limite di due).
Le proteste avvengono per lo più nei sobborghi della capitale, Bujumbura, e i violenti scontri con la polizia, che spara ad altezza d’uomo, hanno provocato finora almeno 10 morti, decine di feriti e oltre 600 arresti. Stati Uniti, Unione europea e diversi Paesi della regione hanno invitato il presidente a ritirare la candidatura mentre i principali partiti di opposizione hanno annunciato che non parteciperanno alle elezioni se Nkurunziza non desisterà.
Arresti della polizia nel corso delle manifestazioni in Burundi, nelle scorse settimane. In copertina: una delle manifestazioni nella capitale Bujumbura.
L’uomo è forte del parere favorevole della Corte Costituzionale sulla legittimità della sua candidatura, ma il vicepresidente dell’organismo, Sylvère Nimpagaritse, ha denunciato le pressioni del governo sui giudici e, prima della sentenza, è fuggito all’estero per non cedere al sopruso.
Non è solo la questione del terzo mandato, tuttavia, a scatenare le proteste della popolazione. Sull’attuale presidente e sul suo governo piovono accuse di violazioni di diritti umani, di pesanti limitazioni della libertà di stampa, di corruzione dilagante e di esecuzioni extra giudiziarie di oppositori politici.
E in quest’ultimo periodo Nkurunziza sta dimostrando di essere disposto a tutto pur di conservare il potere. Liste di proscrizione, arresti illegittimi, la chiusura di Radio Publique Africaine e di altre emittenti critiche nei confronti del suo governo, repressione violenta dei manifestanti. Quel che è peggio, sta facendo leva sulle divisioni etniche fra la maggioranza hutu e la minoranza tutsi che, nel passato, hanno provocato centinaia di migliaia di morti e che, negli ultimi tempi sembravano superate.
Il Presidente Pierre Nkurunziza.
La popolazione in fuga, la capitale paralizzata
Centomila persone hanno lasciato il Paese e le scuole, gli uffici e le banche hanno limitato i servizi per timore delle violenze e della repressione in atto. La situazione è sempre più instabile e in molti invocano l’intervento della comunità internazionale perché faccia pressione sul governo per una transizione politica democratica.
Sul piccolo, bellissimo Paese africano incombe lo spettro di una tragedia simile a quella che si è verificò nel 1993 quando un golpe e i successivi massacri provocarono almeno 150 mila vittime. Era l’anno prima del genocidio nel confinante Ruanda.
È di questi giorni l’iniziativa di alcune Ong che hanno lanciato un appello alla stampa per rompere il silenzio su quanto sta accadendo in Burundi
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