I soldati per le strade di Bujumbura (capitale del Burundi) all'annuncio del colpo di Stato, festeggiati dalla gente.
Un possibile “leggero” rinvio delle elezioni: è questo il risultato di una settimana di caos totale, da cui emerge un Burundi disorientato e, forse, sull'orlo del baratro. Dopo l'ufficializzazione della candidatura del presidente Pierre Nkurunziza per un terzo mandato incostituzionale, si erano scatenate proteste di piazza che – da pacifiche – stavano degenerando in manifestazioni anche violente. Oltre tre settimane di paralisi, nella capitale.
Fino a che, mercoledì 13, quando il presidente aveva lasciato il paese per recarsi a Dar Es Salam per colloqui sulla crisi, il generale Godefroid Niyombare lo ha dichiarato decaduto, parlando da una radio privata. La gente è scesa in strada festante, inneggiando alla fine del regime. I golpisti annunciavano colloqui notturni per convincere l'altra parte delle forze armate e la polizia ed evitare un bagno di sangue.
Giovedì il presidente tentava di fare un precipitoso ritorno a casa, ma l'atterraggio a Bujumbura gli veniva negato (l'aeroporto era stato chiuso, così come tutte le frontiere). Lo stesso pare sia avvenuto al vicino aeroporto Kavumu di Bukavu, in terra congolese. E per alcune ore del presidente e del suo volo si perdevano le tracce. Pareva fatta. La festa tuttavia sarebbe durata poco. Il secondo giorno, voci di un possibile rientro del presidente, non si sa come e da dove, avevano cominciato a seminare disillusione: con un tweet, Nkurunziza annunciava di essere già sul suolo burundese.
Intanto i golpisti tentavano di prendere la radiotelevisione nazionale e il palazzo presidenziale, ma senza riuscirvi: l'annuncio del presidente – pur se in tanti dubitavano fosse vero – aveva frenato gli slanci di chi nell'esercito stava aderendo al putsch. Intanto però i lealisti ne approfittavano per colpire le radio private, le uniche voci di opposizione al regime, distruggendole.
Il terzo giorno i golpisti si sono arresi, dichiarando fallito il loro tentativo, e sono stati arrestati: tutti tranne il capo, il generale Niyombare, volatilizzato. Un corteo di auto coi vetri oscurati e folla festante al seguito è rientrata da Ngozi (città natale del presidente) a Bujumbura, al palazzo presidenziale.
Ma Nkurunziza è riapparso in pubblico solo la domenica 17, pronunciando un discorso di meno di un minuto in cui non ha mai nominato il golpe, ma ha inveito contro la minaccia islamista degli Shabaab nei confronti del Burundi (a causa della presenza di soldati burundesi nel contingente dell'Amisom in Somalia). Il suo portavoce ha risposto poi ai pochi giornalisti presenti (stranieri o allineati, perché tutti gli altri sono nascosti e terrorizzati), ventilando un possibile rinvio delle elezioni. L'avvocato dei 17 arrestati intanto ha denunciato che i suoi assistiti, in particolare il numero due Cyrille Ndayirukiye, erano stati molto pesantemente picchiati da uomini della polizia segreta e che Ndayirukiye era stato costretto a registrare un messaggio di pubbliche scuse al Paese, poi mandato in onda dalla radiotelevisione nazionale.
Stranezze di un golpe che avvantaggia il presidente "deposto"
A ogni latitudine, si sa, non mancano i complottisti. E poco dopo il fallimento del putsch, hanno incominciato a girare sui social e sui siti di informazione sopravvissuti all'attacco dei lealisti alcune analisi inquietanti.
Lo svolgimento dei fatti ha suscitato più di una domanda: perché generali così esperti hanno commesso tali e tanti errori grossolani? Perché hanno annunciato il golpe da una radio privata, invece di assaltare direttamente la radiotelevisione nazionale? Perché hanno agito in pochi, senza la certezza dell'appoggio dell'esercito? Parliamo di Godefroid Niyombare, ex capo di stato maggiore ed ex capo dei servizi segreti del Paese, e di Cyrille Ndayirukiye, ex ministro della Difesa.
Ed ecco la risposta che in tanti stanno dando in queste ore: il golpe sarebbe stato – secondo loro – una messinscena. Un coup de théâtre ben organizzato con una serie di obiettivi ben raggiunti: intanto, l'annuncio della “deposizione” di Nkurunziza è giunto a Dar Es Salam poco prima dell'inizio dei lavori, impedendone di fatto lo svolgimento e salvando il presidente in carica dalla pressione internazionale dei presenti che volevano obbligarlo a rinunciare al terzo mandato; le radio indipendenti sono state distrutte, vandalizzate e messe a tacere per un bel pezzo; inoltre, si sono potuti identificare gli elementi dell'esercito contrari al potere e arrestarli, mentre l'artefice del tutto si è dato alla macchia.
Non ultimo, la comunità internazionale tutta ha condannato il golpe, riconoscendo in qualche maniera la legittimità del potere di Nkurunziza. Vero o no, frutto di menti troppo avvezze alle dietrologie o al contrario ben addentro ai meccanismi del potere, sta di fatto che ora le opposizioni sono azzerate, le elezioni rischiano un rinvio e il presidente tiene in pugno il Paese.
Gli ultimi appelli alla gente perché scenda di nuovo in strada e riprenda a manifestare si scontrano ora con la paura di ritorsioni e la minaccia della presidenza che eventuali manifestanti saranno equiparati ai golpisti. Nell'incertezza e nel timore di vendette e di un possibile precipitare degli eventi, chi può se ne va: sono già più di centomila ad aver varcato i confini.