L'amore e la preghiera più forti dell'odio e dell'orrore. Il perdono e la riconciliazione come via maestra per rispondere al male col bene. Nell'anno giubilare appena iniziato, un messaggio forte di misericordia arriva dal Burundi: la casa in cui vivevano le tre missionarie saveriane Olga, Lucia e Bernardetta, barbaramente uccise il 7 e 8 settembre 2014, è stata trasformata in una cappella.
L'inaugurazione è avvenuta lo scorso sabato 23 gennaio, con la benedizione dell'arcivescovo di Bujumbura, mons. Evariste Ngoyagoye, alla presenza del Segretario della Nunziatura, del presidente dell’Associazione dell’Unione di Superiori Maggiori del Burundi, di centinaia di religiosi e religiose giunti da ogni parte del Burundi, di decine di sacerdoti locali e con la chiesa parrocchiale gremita di fedeli.
La celebrazione eucaristica per la consacrazione della cappellina. In copertina: l'altare durante la messa con i ritratti delle missionarie saveriane.
C'erano anche le saveriane, venute con alcuni confratelli dal vicino Congo: dopo i tragici eventi, infatti, le missionarie hanno dovuto abbandonare il Burundi, dove avevano come unica presenza proprio quella nella parrocchia di Kamenge, a Bujumbura, dove vivevano le tre sorelle trucidate. Dopo la benedizione della cappella, mons. Ngoyagoye ha presieduto una celebrazione eucaristica nella vicina chiesa parrocchiale, invitando i religiosi a prendere le tre missionarie come modello e a imitare la loro donazione totale. All'interno della cappella, è stato posto un cesto in cui raccogliere biglietti con le preghiere offerte all'intercessione di Olga, Lucia e Bernardetta: in una sola giornata, era già pieno.
Fin da quel 7 e 8 settembre 2014, un gruppo di persone aveva continuato a frequentare quotidianamente la loro cappellina (che si trovava di fianco all'abitazione e lì è stata lasciata intatta), raccogliendovisi in preghiera, quasi a voler ribadire una volontà di bene più forte di ogni male. Così ha preso forma l'idea di dedicare quel luogo di morte e violenza a divenire memoria di pace e riconciliazione. La si è voluta chiamare “Cappella della Pace e della Misericordia” e ospiterà chiunque sia in cerca di meditazione, pace e silenzio. Un luogo di contemplazione e adorazione, come riparazione del male commesso in quel luogo e in tutta la regione. La cappella potrà accogliere circa 250 persone ed è pensata in particolare per religiosi e religiose, per i catecumeni, ma anche per la gente comune, per chiunque abbia lo spirito ferito. Molti religiosi stanno già pensando di promuovere momenti di raccoglimento nei quali invocare la pace e implorare il perdono per chi crede che l’uso delle armi, della violenza, della soppressione del diverso siano l'unica via per portare stabilità al Burundi e alla regione.
Un momento dell'inaugurazione della cappella e della giornata in memoria delle tre religiose.
L'abitazione in cui le sorelle furono trucidate è stata rivoluzionata, mantenendone solo il perimetro ed abbattendo i muri interni, così da trasformarla in un ambiente unico, abbellito e riadattato per divenire luogo di meditazione e preghiera. È stata lasciata intatta solo la piccola cappella in cui pregavano, lì accanto, e all'interno della nuova e più grande cappella si è voluto mantenere dei piccoli rialzi per indicare dove si trovavano le loro stanze. Per poter fare memoria.
Abbattere quei muri non è stata solo una necessità strutturale, ma una scelta fortemente simbolica, che indica come via maestra proprio l'abbattimento dei muri dell'odio, della vendetta, della divisione etnica o politica. Un luogo di misericordia, un luogo in cui chiedere e offrire perdono.
I ritratti di Olga, Lucia e Bernardetta vengono portati nella nuova Cappellina.
Quella casa che era sempre aperta a tutti, pronta ad accogliere per dare ascolto e conforto, continuerà in maniera diversa a svolgere lo stesso compito, tanto caro alle tre missionarie uccise. Non solo: per volontà della congregazione saveriana, la cappella sarà dedicata a Olga, Lucia e Bernardetta, ma anche a tutti gli altri religiosi e laici che hanno versato il loro sangue nella e per la martoriata regione dei Grandi Laghi: dai saveriani uccisi nel 1995, Ottorino Maule, Aldo Marchiol e Catina Gubert, al nunzio, mons. Michael Courtney, ucciso nel 2003, passando per i quaranta seminaristi di Buta, fino ai vescovi Joachim Ruhuna e Christophe Munzihirwa, uccisi entrambi nel 1996, uno in Burundi e l'altro in Repubblica democratica del Congo.
Una lunga scia di sangue, che si aggiunge ai tantissimi, troppi morti causati da guerre fratricide e interessi occulti, sia politici che economici. Una scia di sangue che, come il chicco di grano che muore, porta molto frutto. Ed è proprio questo versetto di Giovanni ad essere stato scelto per illustrare – su una delle pareti esterne della cappella – le foto dei martiri, africani ed europei, accomunati dal dono della vita per la pace e la giustizia.
Il cesto con le preghiere, posto nella cappella che fu la casa delle tre suore: al termine della giornata era già pieno.
Il pensiero della comunità cristiana del Burundi e dei loro pastori va anche a chi ha pianificato e portato a termine il massacro. C’è posto anche per loro nel cuore di Dio, immensamente misericordioso. Anche se ciò non esonera dal continuare a chiedere con fermezza di conoscere la verità su quanto è successo, per rendere giustizia alle tre sorelle e guarire i cuori feriti da tanta violenza.
Il Burundi sta attraversando da mesi una profonda crisi politica, che ne sta minando la già fragile coesione sociale. Da aprile scorso, sono state uccise centinaia di persone, in scontri o con esecuzioni extragiudiziali, e si contano oltre 200 mila rifugiati. “Purtroppo, dopo le nostre tre sorelle, molte altre persone sono state uccise”, scrivono le saveriane, “questa cappella risponde con la preghiera a un'urgenza: domandare pace per tutti e conversione dei cuori induriti nel male”.