“Artigiani della festa e della gioia” sono stati definiti spesso da diversi pontefici gli uomini del circo e del luna park che in questo tempo di pandemia stanno vivendo particolari difficoltà il fermo dei loro spettacoli in giro per le città italiane e non solo. Di recente la giornalista Ilaria De Bonis ha dato alle stampe “Circus Pride. Orgoglio circense e convivenza in carovana” all’interno della collana “Testimonianze e esperienze delle migrazioni” della Fondazione Migrantes edita da Tau. Un volumetto che non pretende di occupare molto spazio sullo scaffale, ma che al contrario le sue pagine raccontano di gente, quella dello spettacolo viaggiante, come sono definiti i circensi, i lunaparkisti, i camminanti, con un forte senso di appartenenza, che orgogliosamente va avanti anche tra mille difficoltà. Attraverso le interviste, che l'autrice ha realizzato andando nelle loro carovane, assistendo agli spettacoli sotto i tendoni, e osservandoli da dietro le quinte, cioè camminando tra le case-carovane al di fuori delle luci della ribalta, in diversi luoghi d'Italia, dove alcuni circhi erano fermi, si ha una visione e un concetto diverso della loro esistenza. Viene fuori un quadro che descrive gente orgogliosa della propria arte, famiglie che si tramandano di generazione in generazione i segreti del mestiere, persone che hanno il rispetto degli altri e degli animali, che vivono con loro. Scorrendo le pagine si riesce a conoscere alcune famiglie circensi, grandi o piccole, più o meno conosciute, i diversi tipi di spettacolo che sono in grado di allestire.
Nomi importanti a livello internazionale, o piccoli artisti che stanno crescendo. Un mondo fatto di tante competenze, perché non ci sono solo i clown, trapezisti, giocolieri, domatori. Ma tanti che operano dietro le quinte, dal tecnico delle luci, a chi prepara che tutto sia pronto, alle tante persone che accudiscono gli animali, dove sono presenti. Il racconto è un viaggio incredibile che fa emergere un mondo variegato, fatto di sacrifici, di caparbietà, di prove e riprove dello stesso numero, di sfide impossibili che vengono messe in risalto dalle luci e premiate dagli applausi scroscianti di innamorati di questo spettacolo, che non sono solo i bambini. Con questo libro l'autrice non vuole mettere in evidenza solo la ‘resilienza’ termine più volte usato, ma quello che questo mondo può insegnare a quanti vedono nella diversità un pericolo e non un’occasione. Lo spettacolo viaggiante è un mondo fatto di gente diversa: gli artisti, le maestranze, gli operai possono provenire dai più svariati Paesi e parlare lingue diversissime, ma vivono in un recinto, solo logistico, perché tra le carovane e le roulotte non ci sono trattati da rispettare, qui si è tutti fratelli e sorelle, non si guarda al colore della pelle o la religione che si professa, tutti apolidi. «L’essere circo è come una religione identitaria», non ci sono confini tra le persone, non c’è gente non accettata. In questo recinto si vive senza pregiudizi, ci si rispetta l’un con l’altro, uomini, donne bambini, si fa una vita comunitaria. La vita è il lavoro sono un unicum, l'unico domanda che ci si pone è come meglio far felice lo spettatore.