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venerdì 20 settembre 2024
 
memoria
 

Caduti, monsignor Marcianò: «Insegnano ai giovani a fuggire pacifismi sterili»

12/11/2021  Chi, soldato o civile, è morto nelle Missioni di pace insegna «ai nostri giovani a fuggire slogan vuoti e a intercettare il grido degli oppressi», ha detto l'Ordinario militare, a Roma, nella basilica di Santa Maria in Ara Coeli, presenti, tra gli altri, il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e i vertici militari

«La memoria dei caduti militari e civili nelle Missioni internazionali è, per noi, molto più di un ricordo. È un appuntamento in cui ritrovarsi insieme, per ritrovare la forza per camminare e le ragioni per rinnovare, ciascuno in modo diverso, impegni e scelte di vita che aiutino la memoria dei nostri cari a sopravvivere e ad essere testimonianza e insegnamento prezioso, anche per le generazioni future».  Monsignor Santo Marcianò, Ordinario militare per l'Italia ha celebrato una Messa in suffragio di chi - negli ultimi anni - è morto mentre lavorava per la pace e lo sviluppo in contesti lontani, segnati da conflitti e ingiustizie.. Lo ha fatto venerdì 12 novembre, nella basilica  di santa Maria in Ara Coeli, nella Giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali di supporto alla pace, istituita con la Legge 12 novembre 2009 n.162, giorno legato all’anniversario dell’attentato di Nassiriya, in cui persero la vita 19 connazionali, 17 militari e due civili. Alla celebrazione eucaristica hanno preso parte, tra gli altri, il Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e i vertici militari.

Monsifgnor Marcianò non ha omesso di citare anche i feriti nelle Missioni, anch'essi «testimonianza viva e insostituibile»: loro, «feriti talora in modo grave e invalidante e ne portano le conseguenze con dignità, con coraggio, talora con una reattività che li rende straordinari esempi di rinascita. Grazie!»

«Cari familiari e amici dei nostri caduti», ha proseguito l'arcivescovo, «vi siete incontrati con la morte in modo violento: tanto in fretta da non fare in tempo a scendere dal terrazzo o tornare dal campo. La morte dei nostri caduti è stata una morte improvvisa… tragica. E penso sia un terribile strappo al cuore ripensare a quei momenti traumatici e che faccia ancor più male pensare ai loro ultimi istanti, alla solitudine, alla sofferenza, alla paura che possono aver vissuto. La Parola di Dio non vuole parlare di fine. O meglio, vuole offrire le indicazioni perché ogni fine – morte compresa – non significhi fine di tutto e non faccia paura. Bisogna, pertanto, guardare “oltre”»

«Oltre se stessi, anzitutto. È quanto sanno fare donne e uomini delle Forze Armate Italiane, è quanto hanno saputo fare i nostri caduti. Impostare la vita non nella corsa alla soddisfazione di esigenze o ambizioni egoistiche, ma nella ricerca di quel «bene comune» che è per tutti e offre, a chi lo persegua, la possibilità di sperimentare la gioia di quanto invita a fare Gesù: «perdere» la propria vita per salvarla, per «mantenerla viva» dice la nuova traduzione della Bibbia. Non siamo nati per morire, siamo nati per questo: per restare vivi! E la vita, che si consuma naturalmente, si mantiene viva solo se è volontariamente consumata per una ragione d’amore. Come luce, essa rimane accesa solo se si consuma e, così, riesce ad illuminare molti. Oggi vediamo risplendere le luci accese dai nostri cari caduti, testimonianza viva e istruttiva, formativa anche per le generazioni future».  

«C’è dunque una sorta di contrasto tra due modi di vivere: uno a servizio degli altri e l’altro alla ricerca di se stessi; che è poi il contrasto che passa tra gli operatori di pace, di giustizia e di legalità e coloro che, al contrario, utilizzano le vie anguste della violenza, della prevaricazione e dello scarto per perseguire i propri fini ed imporre i propri interessi».

«È questa la logica della guerra, dei totalitarismi che tolgono libertà, del dominio dei potenti sui deboli; una logica contro la quale il servizio dei militari italiani cerca di lottare, non solo con la dedizione e la competenza ma anche, direi, con la prontezza. Mentre celebriamo l’Eucaristia per i caduti, ancora in tempo di pandemia, non possiamo non ricordare pure i nostri uomini morti perché contagiati dal Covid 19, a motivo della prontezza dimostrata nei diversi servizi di emergenza, di ordine, di soccorso, di sanità… È la prontezza di chi non si tira indietro, pagando un tributo spesso pesante per contrastare l’indifferenza che, diceva Madre Teresa di Calcutta, è il peggior male. Il messaggio evangelico, oggi, mette in luce proprio il valore di questa prontezza, caratteristica di chi non esita dinanzi al bisogno e non ha bisogno di riflettere, potremmo dire, per scegliere se donare la propria vita: perché ha vissuto tutta la vita così!»

«È l’esempio eloquente dei nostri caduti; ed è l’insegnamento di cui hanno bisogno i nostri giovani, per fuggire i pacifismi sterili e gli slogan vuoti e imparare a intercettare il grido di chi è oppresso dall’ingiustizia, dalla povertà, dalla violenza, con la stessa tenacia con cui stanno intercettando il grido della terra e gridano, a loro volta, per svegliare la coscienza di un mondo ripiegato su se stesso e sul proprio consumismo individualista, ignaro della devastazione che ciò procura all’ambiente. Guardate oltre, cari giovani e cari giovani militari! Guardate oltre la prospettiva di chi, come dice Papa Francesco, si accontenta di osservare la vita da un balcone, di confondere la felicità con un divano o di passare la vita davanti a uno schermo.  Chi vorrà salvare la propria vita la perderà: per ricordarlo, guardate a modelli quali i caduti che oggi ricordiamo». 

«Ma come indirizzare il nostro sguardo?», ha concluso monsignor Santo Marcianò. «Come mantenerlo costantemente proiettato oltre noi stessi e capace di accorgersi di coloro che gridano aiuto? Guardare oltre, cari amici, è guardare in Alto! È saper vedere le meraviglie di Dio, delle quali l’uomo vivente è certo la più grande, mettendosi al Suo servizio per custodirle; è saper difendere la pace che – ricordava Papa Giovanni XXIII – non è che frutto dell’ordine da Dio impresso nell’universo. Se i nostri caduti hanno saputo dire sì a una vita donata e a una morte vissuta per amore è perché hanno continuato a guardare in alto. Così, non si sono sentiti soli nello scegliere di perdere la propria vita; così, non si sono sentiti soli durante la morte. E il loro sguardo, dall’alto, non fa sentire soli voi, familiari, colleghi, amici. Non fa sentire soli neppure noi, Chiesa, famiglia che tiene nel cuore della sua affettuosa preghiera i caduti e i feriti, dicendo per tutti loro e a tutti loro un commosso grazie».

 

 
 
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