Papa Tawadros II, patriarca della Chiesa copta ortodossa egiziana, durante la celebrazione della messa di Natale nella Cattedrale della Natività (foto Ansa).
(Foto Ansa sopra: la Cattedrale copta della Natività nella nuova capitale amministrativa egiziana).
«Dobbiamo restare vicini, prenderci cura l'uno dell'altro. Quanti vogliono colpire i luoghi di culto, non hanno religione. Non sono musulmani, né cristiani». E' un messaggio forte, di grande speranza, quello lanciato dall'imam egiziano Saad Askar, ripreso dall'agenzia Asianews. Un richiamo al dialogo e all'unità tra fedeli di diverse religioni in un Paese che vive sotto la minaccia del terrorismo.
Lo scorso 5 gennaio, alla vigilia delle celebrazioni del Natale ortodosso, è stato proprio lo sheikh Saad Askar a sventare un attentato nella chiesa copta della Vergine Maria e Abu Seifin a Ezbat al-Haganah, nel quartiere di Nasr City al Cairo: l'imam e un dipendente della vicina moschea Diaa al-haq hanno notato dei movimenti sospetti di uomo con un pacco in mano nei pressi del luogo di culto. Ad accorgersi del tizio sospetto sono stati due studenti dell'università al-Azhar, che lo hanno visto scappare di corsa e hanno avvertito l'imam. Lo sheikh Askar ha così avvertito i fedeli copti del pericolo lanciando un grido di allarme dal suo microfono: "Chiunque si trovi nella chiesa, per favore esca rapidamente". Lui stesso si è poi recato nel luogo dove il pacco era stato lasciato. Sul posto sono intervenuti gli agenti e purtroppo un artificiere è morto a causa dell'esplosione di una delle bombe che erano contenute nel pacco.
Fra il 2016 e il 2017 l'Egitto è stato segnato da una serie di attentati che hanno causato vittime anche nella comunità cristiana (gli egiziani copti sono circa il 10% della popolazione a stragrande maggioranza musulmana). Ma l'appello dell'imam Saad Askar è una risposta chiara a chi, in Egitto, cerca di esasperare gli animi alimentando tensioni e divisioni.
La notte tra il 6 e il 7 gennaio, gli egiziani copti hanno celebrato la veglia di Natale (con la presenza del presidente egiziano al-Sisi e del capo di Stato palestinese e leader della Lega araba Mahmoud Abbas) nella nuovissima Cattedrale della Natività, la chiesa più grande del Medio Oriente, costruita nella nuova capitale amministrativa d'Egitto, a 45 km dal Cairo. Accanto alla cattedrale copta ortodossa sorge la nuova grande moschea: una vicinanza che ribadisce simbolicamente l'aspirazione alla convivenza pacifica e al rispetto reciproco fra cristiani e musulmani egiziani.
Asia Bibi (foto Ansa).
Un appello alla tolleranza religiosa è stato lanciato, negli stessi giorni, in Pakistan: più di 500 imam del Paese hanno formato la Dichiarazione di Islamabad contro il terrorismo di matrice islamista, contro le violenze che vengono perpetrate in nome delle fatwa, gli editti emessi sulla base della legge coranica dagli ulema - ovvero gli esperti della legge religiosa islamica o sharia - più radicali, schierandosi contro la discriminazione di tutte le minoranze religiose - non solo cristiane - presenti nel Paese. Il documento riconosce che il Pakistan è un Paese multietnico e multireligioso, condanna gli omicidi compiuti "con il pretesto della religione", affermando che nessuna setta può essere dichiarata "infedele". Pertanto, nessun uomo, musulmano o di altra religione, può essere ucciso sulla base di sentenze emesse al di fuori dei tribunali e i fedeli di qualunque confessione hanno il diritto di vivere in Pakistan secondo le loro consuetudini religiose e culturali.
La Dichiarazione degli imam contiene inoltre un riferimento specifico al caso di Asia Bibi, la donna pakistana cristiana del Punjab arrestata nel 2009 e condannata a morte con l'accusa di blasfemia, assolta dalla Corte suprema a ottobre del 2018. La travagliata vicenda, tuttavia, non è ancora terminata: un gruppo di estremisti islamici ha presentato richiesta di revisione del verdetto e, fino al pronunciamento definitivo, Asia Bibi, che è stata scarcerata, è costretta a vivere in un luogo segreto.
La donna è stata arrestata sulla base della controversa legge contro la blasfemia, entrata in vigore nel Paese nel 1986 e che, nei casi più gravi, contempla la pena di morte. Asia Bibi nel 2010 è stata la prima donna condannata alla pena capitale sulla base di questa legge che, di fatto, si presta a molte strumentalizzazioni e in molti casi è un pretesto giuridico per colpire e punire le minoranze religiose, come i cristiani.