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martedì 25 marzo 2025
 
L'ultimo muro
 

Calais, l'Europa e la politica del calce... struzzo

09/09/2016  La "grande muraglia" che il governo inglese, in accordo con quello francese, ha deciso di erigere per fermare i migranti sulla Manica è l'ennesimo esempio di una politica incapace di gestire la crisi umanitaria. A chi e a che cosa servono davvero i muri?

Un altro muro, un’altra barriera. Stavolta sarà a Calais.  La nuova costruenda “muraglia” sorgerà nel nord della Francia, nell’avamposto terrestre più vicino all’Inghilterra.  Un’altra linea Maginot “anti-migranti” per fermare chi ha intrapreso la “rotta mediterranea”.  Come quelle alzate tra l’Ungheria e la Serbia, l’Ungheria e la Croazia,  la Bulgaria e la Turchia, la Macedonia e la Grecia, per bloccare i siriani che avevano percorso la “rotta balcanica”. Come quello alzato a Cauta e Melilla dalla Spagna per impedire l’ingresso ai profughi dell’Africa sub-sahariana. 
  
 A questi dobbiamo aggiungere, poi, i muri minacciati e, per fortuna, mai costruiti. Chi si ricorda quello del Brennero? La grande rete metallica che avrebbero dovuto bloccare sul valico alpino i migranti di passaggio dall’Italia all’Austria, e che avrebbe invece solo rallentato il corso dei tir in transito e paralizzato il traffico alla frontiera? Una volta conclusesi le elezioni austriache  è arrivato il dietrofront del governo di Vienna.   

Pare proprio che l’Europa, culla della democrazia e dei diritti umani, a trent’anni dall’abbattimento del muro di Berlino, abbia scelto di nuovo la politica del calce…struzzo. E adesso, anche Francia e Inghilterra si allineano. Questa, secondo i governi di Parigi e Londra è la risposta “migliore”, più sensata e lungimirante, più giusta e solidale per proteggere il traffico (quindi le merci, prima ancora che le persone) dalla cosiddetta “giungla” dei migranti che affollano l’accampamento nei pressi della cittadina francese e per impedire a questo esercito di disperati di raggiungere la Gran Bretagna a bordo dei tir, legati tra i semiassi o infilati nelle intercapedini dei mezzi.
  
   Ma si pensa davvero che un muro di un chilometro riuscirà a fermare chi, per arrivare fin lassù, ha attraversato deserti, solcato mari, mettendo a repentaglio la vita propria e dei familiari, bambini compresi, chissà quante volte? Si crede davvero che si possa risolvere la  più grave crisi umanitaria che la storia recente ricordi ricorrendo a cazzuola e mattoni? E che l’umanità dolente, affamata e terrorizzata che fugge da Siria ed Eritrea, dalla Somalia e dalla Nigeria  si fermi davanti  ai nostri cavalli di Frisia o a qualche reticolato, triste retaggio di periodi bellici? Così ai mari che inghiottono i barconi della speranza, adesso di aggiungono i muri come nuove barriere ai migranti che fuggono da persecuzioni, guerre e carestie.  A Calais, col muro, s’alzeranno solo i prezzi dei trafficanti d’uomini.

   Quello annunciato l’altro giorno con soddisfazione dal neo-premier Theresa May,  è l’ultimo muro in ordine di tempo, ma quanti altri  ne saranno eretti nei prossimi mesi, e nei prossimi anni? Difficile a dirsi. Ma siamo pronti a scommettere che il prossimo sarà annunciato a una delle prime tornate elettorali in qualche Paese della Ue. La “carta del muro” sembra essere, infatti, quella più giocata dai governi in crisi di consensi per riconquistare elettorati  ostili che chiedono sicurezza e temono l’invasione dei profughi. La stessa carta  che, ovviamente, utilizzano i partiti  anti-immigrati e xenofobi, sorti in questi ultimi tempi come funghi, in molti Paesi del Vecchio Continente.  E pure oltre Atlantico: non è forse la costruzione del muro tra Usa e Messico (meglio se pagato dai messicani) l’unico punto del piano anti-immigrati uscito dalla mente di Donald Trump? Ed è diventato uno dei cavalli di battaglia del suo programma elettorale, col quale è convinto di strappare consensi a Hillary Clinton per la corsa alla Casa Bianca.
    L’unico muro che l’Europa dovrebbe erigere è proprio contro questo “trumpismo” dilagante che sta invadendo le politiche migratorie di un’Europa in piena sindrome d’assedio.       

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In fuga da Calais verso l'Inghilterra
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