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mercoledì 18 settembre 2024
 
L'assassinio di Melissa
 

Pietropolli Charmet: «Liberarsi del padre, un fardello pesante»

01/05/2014  «Fare fuori il padre, uccidendolo simbolicamente attraverso il cambio del cognome, è una responsabilità troppo grave e pesante da sostenere, anche per due persone adulte». Lo psicologo Gustavo Pietropolli Charmet commenta così la decisione di Veronica e Serenella Domenica, le figlie di Giovanni Vantaggiato, l’imprenditore condannato all’ergastolo per l’attentato alla Scuola Morvillo-Falcone di Brindisi in cui morì Melissa Bassi

«Fare fuori il padre, uccidendolo simbolicamente attraverso il cambio del cognome, è una responsabilità troppo grave e pesante da sostenere, anche per due persone adulte». Lo psicologo Gustavo Pietropolli Charmet commenta così la decisione di Veronica e Serenella Domenica, le figlie di Giovanni Vantaggiato, l’imprenditore condannato all’ergastolo per l’attentato alla Scuola Morvillo-Falcone di Brindisi in cui morì la studentessa sedicenne Melissa Bassi. Dal 18 maggio prossimo, quando saranno passati due anni esatti dall’attentato che scosse l’Italia intera, entrambe non avranno più il cognome paterno. Sono state loro a fare la richiesta in Prefettura chiedendo di avere un altro cognome che non è neppure quello della madre, Giuseppina Marchello. La Prefettura, come è prassi, ha eseguito l’attività istruttoria preliminare, considerato il parere degli organi di polizia circa l'assenza di elementi ostativi, e giudicato la domanda meritevole di essere accolta il 16 aprile scorso. Da quando è in carcere, condannato in primo grado all’ergastolo per strage aggravata dalla finalità terroristica, non sono mai andate a trovare il padre.

È una decisione frequente, professore?                   
«Molti adolescenti, ad esempio in fase di divorzio dei propri genitori o successivamente dopo, si rifiutano di partecipare al rito, sancito dal giudice, di stare un po’ con la madre e un po’ con il padre e dicono no categoricamente agli incontri settimanali con il papà. L’indegnità del padre e la sua uccisione simbolica in adolescenza, in occasione di una separazione coniugale, è un’evenienza frequente. Certo, questo è un caso estremo».

Lei come si comporta in questi casi? «
Ho sempre cercato di non lasciare interamente sulle spalle del figlio il fardello dell’uccisione del padre, cercando di far sviluppare un senso di pietas nei suoi confronti, anche se ha commesso cose gravi. Arrivati a quel punto, forse è il caso di recuperare un barlume di relazione con il genitore andando nella fattispecie a trovarlo in carcere. Questo, lasciando da parte gli aspetti etici, è più utile per il percorso di crescita dei figli stessi. Certo, questo è un caso estremo».

Come giudica la decisione delle due figlie?
«Bisognerebbe conoscere molte altre cose, senza dubbio. Detto questo, lo sviluppo di una capacità d’identificazione con le ragioni del padre anche nelle condizioni più terribili mi sembra più utile per la propria maturazione. Può darsi che padri che commettono efferatezze di questo genere meritino in nome della specie la cancellazione radicale del loro diritto alla paternità. Però sono contrario alla decisione di cambiare il cognome. È vero che il padre ha commesso un gesto scellerato e orribile ma da parte dei figli c’è sempre la possibilità di ricostruire la relazione. Da questo punto di vista, è preferibile portargli le arance piuttosto che andare in prefettura e disdire il nome».

Vantaggiato ha ucciso una ragazza innocente e poteva commettere una vera e propria strage.
«Se il giudice usa severità va bene, ma se lo fa il figlio la cosa si complica un po’ anzitutto per il figlio. Le cose che servono di più a chi è in carcere è che il suo delitto, per quanto orribile, non comporti la perdita definitiva dei propri figli. Capisco pure che la vergogna sociale che cade sui figli a seguito del misfatto del padre li possa indurre a interrompere la relazione con il padre».

 
 
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