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sabato 14 settembre 2024
 
 

La politica dei respingimenti che porta solo lutti

03/10/2013 

L’immane tragedia di Lampedusa è figlia delle politiche dei respingimenti del Governo che si reggeva sul cosiddetto "Asse del Nord". Politiche che purtroppo hanno lasciato i loro segni e i loro strascichi anche nelle politiche legate ai flussi migratori degli ultimi due governi, che pure avevano radicalmente cambiato la prospettiva culturale, istituendo il ministero della Solidarietà e dell’Accoglienza (con Riccardi e oggi la Kyenge). E' stato lo stesso sindaco di Lampedusa a raccontare che i tre pescherecchi che avevano avvistato il barcone in fiamme non si sono fermati per la paura dei loro comandanti di venir denunciati per favoreggiamento del reato di immigrazione clandestina. Nei porti di Mazara Del Vallo ci sono ancora alla fonda le imbarcazioni sequestrate a pescatori che si erano fermati a soccorrere i naufraghi. Hanno perso tutto, non sono in grado di sostentare le loro famiglie. Invece di ricevere una medaglia al valore si sono visti portare via la loro fonte di sostentamento e hanno guai con la giustizia. Come possiamo andare avanti con simili barbarie?

Spiace vedere che i protagonisti politici di quella stagione, la stagione dei respingimenti, tra i quali spiccavano non pochi cattolici dichiarati, anziché chiudersi in una cella di convento e riflettere su tanto dolore causato, continuino a pontificare e si esibiscano in esegesi minimaliste della visita di Francesco a Lampedusa. 

E’ urgente sgombrare i cascami di politiche “sbagliate e controproducenti”, come ha detto, 24 ore prima del naufragio della spiaggia dei conigli, il Consiglio d’Europa a proposito dlle politiche immigratorie dell’Italia.  Politiche che fanno dell’immigrato (e spesso anche del rifugiato e del richiedente asilo) non un essere umano ma un invasore, a cominciare dal reato di clandestinità. La prima cosa da accettare, come hanno spiegato al Consiglio d’Europa, è che il “flusso “ dei migranti “è e resterà continuo”. Inutile dichiarare continuamente lo stato di emergenza, significa non capire le dinamiche di questa nostra era globalizzata Non sono solo ragioni umanitarie quelle che vorrebbero cancellati i ritorni forzati degli immigrati in Paesi come la Libia (dove rischiano la tortura, se non la vita), la gestione dei Cpt, simili a lager, la decisione di dichiarare continuamente lo stato d'emergenza per “adottare misure straordinarie al di là dei limiti fissati dalle leggi nazionali e internazionali” (come scrive l’autore del rapporto Christopher Chope). Il punto è che la politica dei respingimenti ha solo scopi demagogici e propagandistici, non ha certo risolto il problema delle quote.

“A causa di sistemi di intercettazione e di dissuasione inadeguati”, prosegue il Consiglio europeo, l'Italia si è di fatto trasformata in una calamita per l'immigrazione, in particolare per gli immigrati che cercano una vita migliore all'interno dell’area Schengen. E come se non bastasse, nel documento si afferma che alcune delle scelte fatte dalle autorità italiane “rischiano di minare la fiducia nell'ordine legale europeo e nella Convenzione di Dublino”. Nessuno naturalmente si illude che l’Italia possa da sola risolvere il problema. Non basta dare lezioni di accoglienza. Tutti sanno che è necessario il coordinamento, anzi una condivisione di responsabilità, con gli altri Paesi europei, anche quelli che non hanno sponde sul Mediterraneo. Per questo serve un cambio di passo da parte del Governo. Il più presto possibile. A meno che non si voglia continuare con le tragedie.

 
 
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