Una parte del Camerun sta letteralmente affogando, colpita
da violente inondazioni che dal mese di agosto non danno tregua al Paese
africano. «Una calamità, la più grave degli ultimi 60 anni» l'ha definita il
ministro della Comunicazione Issa Tchiroma Bakary, facendo appello a un
intervento urgente per tamponare l'emergenza e prevenire la diffusione delle
malattie che proliferano in questo tipo di contesto, malaria e colera su tutte.
I cadaveri delle vittime affiorano ogni giorno e il loro numero è ancora
destinato a salire, soprattutto quando sarà possibile raggiungere le zone più
isolate del Nord del Paese, là dove gli aiuti non sono ancora arrivati per
l'inagibilità delle strade e la mancanza di risorse umane ed economiche. Il
paesaggio, descritto da chi ha avuto modo di vederlo con i propri occhi, è
desolante: l'acqua ha sommerso tutto ciò che ha incontrato lungo
la propria strada, case, fattorie, bestiame e l'intervento dell'esercito non è
stato sufficiente a gestire ordinatamente l'evacuazione. Troppo estesa la
superficie interessata, troppo pochi i mezzi a disposizione.
L'agenzia Plan international Cameroon e l'Unfpa (Unitednations population fund) hanno lanciato l'allarme: se da un lato bisogna
continuare a impegnarsi per mettere in salvo quante più vite possibile,
dall'altro è necessario avere la freddezza per mettere a punto un piano
immediato per prevenire i rischi di epidemia da colera e malaria. Il timore
delle infezioni è reale: sono già 3mila le persone ricoverate mandando in tilt
il sistema sanitario dell'intera area e, ovviamente, le categorie maggiormente
a rischio sono i bambini, specialmente quelli con problemi respiratori che nel
Nord del Camerun hanno una notevole incidenza sulla popolazione infantile, e le
donne in gravidanza. I ricoveri che sono stati allestiti qua e là attraverso
l'impiego di tende non sono una soluzione adeguata per garantire standard
minimi di igiene e, soprattutto, gli sfollati sono in numero troppo superiore
rispetto alle dotazioni a disposizione. Da qui, l'esodo.
«Ormai sono circa 2 mesi che le
strade sono interrotte e devastate dalla forza delle acque, e l’unico modo per
raggiungere molti villaggi ed abitazioni è la piroga. Questo ha significato il
blocco del commercio, e una grande difficoltà negli spostamenti di persone e
beni. In queste condizioni di precarietà ambientale, parte della popolazione ha
preferito emigrare, temporaneamente o per lungo tempo, in luoghi più sicuri,
abbandonando casa e beni alla mercè della situazione»: il racconto che ci ha
inviato Fabio Mussi della fondazione Pime non lascia spazio all'immaginazione.
Le colture sono andate distrutte, quelle colture la cui raccolta era prevista
proprio per questo periodo e che avrebbe garantito una riserva in vista dei
prossimi mesi: «La perdita del raccolto, e del miglio in particolare, è una
ulteriore aggravante: è facile prevedere che le scorte alimentari delle
famiglie contadine (che corrispondono a circa il 90 % della popolazione)
saranno inferiori al necessario per affrontare la prossima stagione secca. Di
conseguenza è probabile che nei prossimi mesi ci sarà una carestia che colpirà
buona parte delle popolazioni della zona inondata, abitata da circa 350mila
persone».
Allo stato attuale è ancora difficile fare delle stime sul
numero di profughi e anche le istituzioni locali, sul tema, non si sono
sbilanciate. Qualche preoccupazione, però, è inutile negarlo, c'è e la
"fonte" sono le informazioni che cominciano ad arrivare sulle
iscrizioni alle scuole elementari nella zona. « Innanzitutto bisogna tener
presente che, a causa dell’inondazione, circa il 20% delle scuole elementari
non hanno potuto iniziare ancora i
corsi regolari. L’80% delle scuole che hanno iniziato l’anno scolastico il 3
settembre, segnala dati contrastanti ma comprensibili. I complessi
scolastici che si trovano nella zona più gravemente inondata, hanno segnalato una
diminuzione sensibile degli alunni rispetto al 2011, mentre le scuole situate
nelle zone considerate di “accoglienza” segnalano un aumento di alunni
immigrati da altre località alluvionate»: tuttavia è facile capire che un'alta
percentuale dei bambini delle zone alluvionate non andrà a scuola sia perché
raggiungere gli istituti in questo momento è un problema serio, sia perché
l'economia familiare non lo consente. Quello che prima era un sacrificio per un
futuro migliore, ora è un ostacolo per la sopravvivenza nel presente. «Circa il
15% dei bambini che venivano seguiti nelle scuole elementari cattoliche con il
“sostegno a distanza” non si sono presentati all’inizio dell’anno scolastico.
Sono generalmente bambini provenienti da famiglie di contadini o braccianti,
che vivevano con il lavoro giornaliero o con il frutto del raccolto annuale. Da
una prima indagine si è potuto constatare che la maggior parte si è trasferita
in altre zone, mentre per altri si sono perse le tracce. Per loro vi è il
rischio di perdere l’anno scolastico, e a volte di non poter più riprendre la
scuola. Anche con questo dramma, continueremo a seguire tutti i bambini che
potranno frequentare le nostre
scuole».
«La Diocesi di Yagoua, attraverso il Codasc (Coordinamentodelle attività sociali e caritative) sta intervenendo in alcuni comuni rurali
con azioni di prima assistenza e di approvvigionamento di acqua potabile.
Parallelamente sta preparando un piano a medio termine per raggiungere le zone
più isolate segnalate dalle missioni sul posto per i circa 50mila sfollati
ancora residenti nella provincia di Mayo danay, la più toccata da questa
disgrazia». Da una parte c'è il problema della crisi economica mondiale che
indubbiamente influenza negativamente la solidarietà, dall'altra, però, si
assiste all'ormai consueta indifferenza delle grandi potenze politiche e
commerciali internazionali e la ragione è semplice: questa regione del Camerun
non fa notizia, è abitata da gente tranquilla, non mette a rischio delicati
interessi sovranazionali ed è lontana da ambiziosi giochi di potere. In
altre parole, le inondazioni in Camerun sono viste come un problema marginale
nello scacchiere internazionale, per lo più prive di interesse, come se fosse davvero
possibile stilare una graduatoria delle vite che vale la pena salvare.
Rimane il fatto che, ricorda ancora Fabio Mussi, «ci sono
80.000 persone sfollate, di cui almeno 50.000 persone vulnerabili, cioè di età
inferiore ai 15 anni, donne incinte, anziani e malati, che avrebbero bisogno di
un segno di solidarietà concreta per poter riprendere il cammino con le proprie
gambe. E come se non bastasse c'è da segnalare la presenza di elefanti e
ippopotami che hanno dovuto lasciare, sempre a causa delle inondazioni, i loro
luoghi abituali: anche loro, in qualche modo, sono degli sfollati ma in una
situazione critica come questa le loro esigenze può capitare che contrastino
con quelle umane e quando si tratta di alimentazione, beh, animali di quella
stazza hanno facilmente il sopravvento».
Intanto però qualcosa comincia a
muoversi, come nella Comune di Kai Kai dove la Diocesi di Yagoua si è prodigata
per rimettere a disposizione per la prima accoglienza le aule della scuola, per
garantire un
minimo servizio di acqua potabile a circa 3mila sfollati. « Quanto
si è fatto a Kai Kai è solo un primo piccolo interento che ci viene richiesto
anche da altre Comunità e Comuni del territorio diocesano inondato: Daana,
Nouldaina, Bastebe, Gobo, Viri, Maga, Mariam, Logone Birni, ecc. sono alcuni
delle località inondate dove sono installate delle Missioni cattoliche, da
settimane isolate per le strade, e raggiungibili a volte solo con delle
piroghe, o percorrendo lunghi tratti nell’acqua. Certamente è compito
soprattutto dello Stato, ma, con l’esperienza di altre situazioni vissute, è
opportuno poter prevedere un intervento solidale per le popolazioni più
bisognose. E’ con
la speranza in una solidarietà umana e cristiana che gli
operatori della Diocesi affrontano il cammino per permettere alla vita di
riprendere».
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