Si ricorda la nascita di san Camillo de Lellis (avvenuta nel 1550 a Bucchianico, in Abruzzo, in provincia di Chieti), e il sacrificio dei “martiri della carità”:
circa 300 fra sacerdoti, fratelli, chierici, novizi e oblati che, dalla
nascita dell’Ordine ad oggi, hanno onorato fino alla morte il quarto
voto di assistenza gli ammalati.
Il 25 maggio è una data importante per il mondo camilliano.
Quest'anno, i festeggiamenti assumono una solennità particolare alla luce del quarto centenario della morte di San Camillo (il 14 luglio 1614). Per rendere ancor più feconda la ricorrenza, il 25 maggio, a Roma, si svolge un convegno patrocinato dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Conferenza episcopale italiana: la concelebrazione eucaristica è presieduta dal Segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino.
Al convegno – che ha come tema “Camillo, un santo precursore dell’assistenza sanitaria in Italia” – partecipano il vicario generale dei Camilliani, padre Paolo Guarise, il direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, don Carmine Arice, e l’onorevole Maria Pia Garavaglia, già ministro della Sanità. L’incontro viene moderato dal giornalista e vicedirettore di Rai2 Luciano Onder.
E' l'occasione per riproporre una figura molto interessante. Esistono, infatti, un prima e dopo. Prima di diventare il santo dei malati, Camillo de Lellis (1550-1614) condusse una vita randagia e dissoluta. Nato da un ufficiale di nobile famiglia al servizio
dell'imperatore Carlo V, e da una madre già avanti nell'età (era sessantenne quando lo diede alla
luce; morì tredici anni dopo) nel 1568 Camillo si arruolò con il padre nell'esercito della
repubblica di Venezia in lotta contro i turchi, ma ben presto rimase
orfano anche di padre. Privo di risorse, fu costretto a causa di un'ulcera
varicosa al piede, cercare, come infermiere, delle cure gratuite
all'ospedale di San Giacomo degli Incurabili a Roma. Dopo un mese, però,
da quel posto fu allontanato a causa della sua passione per il gioco.
Camillo, semi-analfabeta, ma di buon cuore, fisicamente era un gigante,
alto quasi due metri.
Per vivere, dovette mendicare finché non trovò lavoro,
nell'autunno del 1574, come manovale nella costruzione del convento dei
Cappuccini di Manfredonia (Foggia). Alla fine, la conversione. Il 2 febbraio 1575 Camillo decise di abbracciare la vita cappuccina; lui,
discendente da famiglia nobile, avrebbe atteso ai più umili uffici della
comunità. Ottenne di vestire l'abito, ma dopo qualche mese l'ulcera
varicosa si riaprì. Dovette così ritornare a San Giacomo degli Incurabili
dove maturò la sua vocazione. Rifiutato per lo stesso motivo, una seconda volta, dai Cappuccini,
Camillo decise di consacrarsi come infermiere al servizio dei malati
sotto la direziono di S. Filippo Neri (+1595), l'apostolo di Roma.
Dal momento che il personale infermieristico era, in genere, reclutato
tra gente rozza e incapace, fin dal 1582 egli pensò di riunire in
un'associazione dei compagni che, come lui, si fossero dedicati
completamente alla cura dei malati. Un primo tentativo fallì per
l'incomprensione dei direttori dell'ospedale. Camillo si convinse allora
che era necessaria una famiglia religiosa indipendente. Per raggiungere lo scopo era necessario che egli, a trentadue anni, si
rimettesse sui banchi della scuola, frequentasse al Collegio Romano i
corsi di S. Roberto Bellarmino e di Francesco Suarez,
pur continuando a visitare e a curare i malati. Nel 1584 Camillo poté
celebrare la sua prima Messa. Fondò l'Ordine dei chierici regolari ministri degli infermi, noti con un nome indissolubilmente legato al suo: Camilliani. Morì il 14 luglio 1614.