«Tanti fratelli e sorelle in Amazzonia portano croci pesanti e attendono la consolazione liberante del Vangelo, la carezza d’amore della Chiesa. Per loro, con loro, camminiamo insieme». Papa Francesco apre il Sinodo dei vescovi che si svolge in Vaticano, dal 6 al 27 ottobre sul tema: Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale, mettendo subito al centro le persone. Nell’omelia della messa inaugurale, alla quale partecipano anche i neocardinali, spiega innanzitutto cosa significa Sinodo, e cioè «camminare insieme», sull’esempio di quanto accadeva già agli inizi della Chiesa. Bergoglio commenta le letture e ricorda che quello che scrive l’apostolo Paolo, «il più grande missionario nella storia della Chiesa», a Timoteo «sembra rivolto a noi, Pastori al servizio del Popolo di Dio». L’apostolo, infatti esorta Timoteo a «ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani». Noi, spiega il Pontefice «siamo vescovi perché abbiamo ricevuto un dono di Dio. Non abbiamo firmato un accordo, non abbiamo ricevuto un contratto di lavoro in mano, ma mani sul capo, per essere a nostra volta mani alzate che intercedono presso il Signore e mani protese verso i fratelli».
Un dono che si fa dono. Ricordando che «un dono non si compra, non si scambia e non si vende: si riceve e si regala. Se ce ne appropriamo, se mettiamo noi al centro e non lasciamo al centro il dono, da Pastori diventiamo funzionari: facciamo del dono una funzione e sparisce la gratuità, e così finiamo per servire noi stessi e servirci della Chiesa. La nostra vita, invece, per il dono ricevuto, è per servire. Lo ricorda il Vangelo, che parla di “servi inutili”». L’espressione usata da Luca «può voler dire anche “servi senza utile”. Significa che non ci diamo da fare per raggiungere un utile, un guadagno nostro, ma perché gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente diamo». Allora, continua Francesco, «la nostra gioia sarà tutta nel servire perché siamo stati serviti da Dio, che si è fatto nostro servo».
Ma per «essere fedeli a questa nostra chiamata, alla nostra missione, San Paolo ci ricorda che il dono va ravvivato. Il verbo che utilizza è affascinante: ravvivare letteralmente è “dare vita a un fuoco” [anazopurein]. Il dono che abbiamo ricevuto è un fuoco, è amore bruciante a Dio e ai fratelli. Il fuoco non si alimenta da solo, muore se non è tenuto in vita, si spegne se la cenere lo copre. Se tutto rimane com’è, se a scandire i nostri giorni è il “si è sempre fatto così”, il dono svanisce, soffocato dalle ceneri dei timori e dalla preoccupazione di difendere lo status quo». Cita papa Benedetto che nella esortazione Verbum Domini scrisse che «in nessun modo la Chiesa può limitarsi a una pastorale di “mantenimento”, per coloro che già conoscono il Vangelo di Cristo. Lo slancio missionario è un segno chiaro della maturità di una comunità ecclesiale, perché la Chiesa è sempre in cammino, sempre in uscita». Gesù, infatti, prosegue Francesco, «non è venuto a portare la brezza della sera, ma il fuoco sulla terra». Un fuoco che viene dallo Spirito Santo, un fuoco che unisce e scalda, non un fuoco di interessi come quello che ha devastato l’Amazzonia questa estate.
«Ravvivare il dono nel fuoco dello Spirito è il contrario di lasciar andare avanti le cose senza far nulla. Ed essere fedeli alla novità dello Spirito è una grazia che dobbiamo chiedere nella preghiera», dice Francesco. Chiedere in dono allo Spirito «la sua prudenza audace» per «rinnovare i cammini per la Chiesa in Amazzonia, perché non si spenga il fuoco della missione».
Un fuoco, continua il Papa che, «come nell’episodio del roveto ardente, brucia ma non consuma. È fuoco d’amore che illumina, riscalda e dà vita, non fuoco che divampa e divora. Quando senza amore e senza rispetto si divorano popoli e culture, non è il fuoco di Dio, ma il fuoco del mondo. Eppure quante volte il dono di Dio non è stato offerto ma imposto, quante volte c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione! Dio ci preservi dall’avidità dei nuovi colonialismi. Il fuoco appiccato da interessi che distruggono, come quello che recentemente ha devastato l’Amazzonia, non è quello del Vangelo. Il fuoco di Dio è calore che attira e raccoglie in unità. Si alimenta con la condivisione, non coi guadagni. Il fuoco divoratore, invece, divampa quando si vogliono portare avanti solo le proprie idee, fare il proprio gruppo, bruciare le diversità per omologare tutti e tutto».
E, infine, Bergoglio parla di quanti hanno perso la vita in Amazzonia dando testimonianza al Vangelo: «Annunciare il Vangelo è vivere l’offerta, è testimoniare fino in fondo, è farsi tutto per tutti, è amare fino al martirio. Ringrazio Dio», aggiunge a braccio, «perché nel collegio cardinalizio ci sono alcun fratelli cardinali martiri, che hanno abbracciato nella vita la croce del martirio». Tanti fratelli e sorelle in Amazzonia, continua il Pontefice «portano croci pesanti e attendono la consolazione liberante del Vangelo, la carezza d’amore della Chiesa. Tanti fratelli e sorelle in Amazzonia hanno lasciato la loro vita». E ricorda il cardinale Hummes che nella foresta «va a cercare la tomba dei missionari, un gesto della Chiesa per coloro che hanno versato la vita in Amazzonia» e poi, «con un po’ di furbizia dice al Papa: “non si dimentichi di loro, meritano di essere canonizzati”. Per loro, per questi che stanno dando la vita adesso, per quelli che hanno versato la loro vita, con loro, camminiamo insieme».