«Che il cammino abbia avuto inizio è già un grandissimo risultato. Da almeno un millennio mancava una cultura ecclesiale di questo tipo ed eravamo completamente disabituati alle pratiche sinodali. Ecco perché è importante aver iniziato a tracciare una strada». Lo dice con convinzione Stella Morra, docente di Teologia Fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, commentando il cammino sinodale, che, dopo i primi due anni dedicati all’ascolto, ora entra nella seconda fase, quella del discernimento.
«Mi sembra che questa esperienza stia mobilitando tante risorse ed energie buone. Siamo, è vero, una carovana un po’ scassata, con tante diversità (e questo è un bene) e alcune incongruenze. Però la fiducia nel percorso e la sua credibilità stanno crescendo, man mano che si va avanti. E, finalmente, si sta facendo strada una certa creatività. Superata la fase un po’ stagnante dell’immediato post-Covid, in tante comunità si stanno inaugurando esperienze mai vissute prima. Non tutte avranno un futuro, però, intanto, è un buon segnale».
Quanto ai risultati concreti, secondo la teologa «è bene non avere aspettative troppo alte. Nulla, nella Chiesa, cambia dalla sera alla mattina. Ci vorrà almeno una generazione. È questione di menti, di cuori, di approccio, ma se, un po’ alla volta, iniziamo a crederci, possiamo aprire la porta a cambiamenti profondi».
Ci sono anche, naturalmente, alcune criticità, o almeno alcuni «elementi di resistenza», sottolinea la docente di teologia. «Fatichiamo a immaginare metodologie e schemi di comportamento veramente nuovi. Continuiamo a “fare riunioni”, perché è ciò che abbiamo fatto finora e non ci viene in mente altro. C’è poi una resistenza legata alle strutture (mi riferisco proprio ai luoghi fisici), troppo grandi e poco sostenibili, espressioni di un modello di Chiesa ormai superato. Questo ci rallenta molto. Ovviamente non è cattiva volontà e in certi casi non si può fare diversamente. A pesare, però, non solo le ragioni materiali. Pensiamo, ad esempio, a quanto sia difficile accettare l’idea della riduzione e dell’accorpamento delle parrocchie. Siamo ancora legati all’idea che la parrocchia sia dietro casa e che ognuno abbia la sua. Anche le ragioni affettive devono avere un posto. Ecco perché il cambiamento richiede tempo».
Eppure, nonostante alcune inevitabili fatiche, secondo Stella Morra «il percorso nazionale ha il merito di non essersi cristallizzato troppo sui temi, riflettendo invece piuttosto sul metodo». Insomma, il “come” prima del “cosa”. «Il punto non è tanto parlare di giovani, di famiglia o di etica del lavoro, ma ritrovare un modo di essere Chiesa. È prezioso, ad esempio, che sia stata messa al primo posto la missione, ma secondo lo stile della prossimità. Chiedersi, insomma, quale sia la missione su misura per oggi è una bella sfida». Altro dato positivo: «L’ascolto è reale. In effetti, all’inizio non c’era un piano totalmente preordinato. Abituati a una logica gerarchica, questo ci disorienta e magari ci mette un po’ in ansia. Ogni tanto si ha la sensazione che il processo non sia governato. In realtà, il processo sinodale è governato dallo Spirito Santo. Dall’ascolto reciproco può emergere ciò che lo Spirito suggerisce. Ma per comprendere questo, e non solo a livello razionale, serve una conversione. E serve un atteggiamento di assunzione di responsabilità: ciascuno dice con parresia e libertà ciò che ritiene importante, mettendolo sul piatto e affrontando anche eventuali contrarietà».
Una riflessione importante, infine, riguarda il ruolo del femminile e la posizione delle donne nella Chiesa. «Per ragioni storiche e culturali, le donne sono state, finora “l’altro per eccellenza”. Fare i conti con le donne, riconoscendole in quanto soggetti, è un po’ come imparare l’alfabeto, è mettere in discussione le modalità di gestire il potere, verso un rapporto più equilibrato tra intelligenza critica e intelligenza emotiva. Ciò che non è accogliente con le donne, non lo è con nessuno. Da mezzo secolo, le donne hanno compreso che possono prendere la parola. Quindi possono farlo anche nella Chiesa. E possono insegnare qualcosa».