Noura Hussein è salva. La condanna a morte che le era stata inflitta è stata annullata. È successo martedì 26 giugno nel plauso e nella gioia generale di chi si è battuto, come Amnesty International, per i diritti della giovane donna. No, non sarà impiccata la giovane sposa-bambina sudanese che uccise il marito violento che la stuprò. Lei che, come dichiarò in un’intervista alla Cnn, non voleva sposarsi, voleva studiare legge per fare il giudice.
Noura Hussein, infatti, è in carcere da maggio 2017. Quando aveva 16 anni suo padre e il futuro marito sottoscrissero il contratto di matrimonio. La cerimonia si svolse nell’aprile 2017, alla fine del compimento degli studi superiori. Lei non voleva consumare il matrimonio con una persona che non aveva scelto. Per stuprarla, suo marito, si fece aiutare da due fratelli e un cugino per tenerla ferma. La seconda volta che cercò di stuprarla, Noura si difese con un coltello. L’uomo morì per le ferite riportate. Lei corse dai genitori per raccontare l’accaduto, ma il padre la consegnò alla polizia.
Condannata in primo grado il 29 aprile 2018, giudicata colpevole di omicidio premeditato per aver ucciso, con un atto di autodifesa, Abdulrahman Mohamed Hammad, sulla base di una legge del 1991 che non riconosce lo stupro coniugale in un Paese dove, secondo un rapporto dell'Onu dello scorso anno, un terzo delle ragazze sudanesi si sposa prima dei 18 anni, il 26 giugno la corte d’appello di Omdurman ha deciso che Noura Hussein dovrà trascorrere cinque anni in carcere e versare alla famiglia della vittima un risarcimento di 337.500 sterline sudanesi (circa 7.200 euro).
«L’annullamento della condanna a morte è un fatto assai positivo» ha dichiarato Seif Magango, vicedirettore di Amnesty International per l’Africa orientale, il Corno d’Africa e la regione dei Grandi laghi «ma ora occorrono riforme per assicurare che non vi saranno più casi come quello di Noura. Resta il fatto che cinque anni per una vittima di un attacco brutale da parte del marito sono una condanna sproporzionata».