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lunedì 16 settembre 2024
 
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Killers of the Flower Moon, Martin Scorsese e l’avidità crudele dei bianchi d’America

21/05/2023  Presentato fuori concorso il film più atteso sulla Croisette con Robert De Niro e Leonardo DiCaprio, zio e nipote, capaci di efferati atti criminali in un affresco che agogna la redenzione e accarezza l’amore

Gli Stati Uniti nascono dalla polvere delle strade, dal sangue. La violenza è un elemento fondativo, una piaga del presente e del passato, su cui Martin Scorsese si è sempre soffermato con sguardo lucido e mai compiaciuto. Il bene e il male, ancora una volta, domenica in chiesa e lunedì all’inferno, come recitava il sottotitolo del suo terzo film Mean Streets.

Ma non era già così in Gangs of New York? La storia è uno dei cardini della poetica di Scorsese, sempre attento all’animo umano, all’andare degli anni, alla colpa e alla redenzione.

Killers of the Flower Moon è un film lacerante, su una ferita mai sanata. È un’epopea che agogna la redenzione, accarezza l’amore, si immerge nel tradimento e sviscera una natura umana caratterizzata dall’avidità. Il rapporto è tra uomini bianchi e nativi americani, le vere vittime di questa vicenda. Relegati nelle riserve, vengono schiacciati, privati di ogni diritto da chi vuole sottrarre loro i soldi del petrolio.

Si sentono gli echi di Il Gigante di George Stevens, ci si specchia in Il Petroliere di Paul Thomas Anderson. A essere sotto scacco è sempre il modello capitalista, che si basa su brutalità e distruzione di ogni sentimento.

La rabbia e il furore sembrano piano piano scemare, in quella che è una confessione, un’ammissione dei propri errori, come nel bellissimo incipit di The Irishman. Leonardo DiCaprio presta il volto a un uomo avido, soggiogato da uno zio interpretato da Robert De Niro. Quest’ultimo spadroneggia sul territorio, mentre una serie di efferati omicidi sconvolgono la comunità. Ed è proprio qui che sorge un nuovo ordine, che si crea una frattura tra ieri e oggi. Il mito della frontiera si è ormai spento, i cappelli da cowboy sono l’immagine di un secolo al calar del sole.

Come in The Irishman, lo spirito è testamentario. Anche se si va verso il futuro, si parla sempre di un’epoca che volge al termine. Non cambia il messaggio. Sembra che ci sia una predestinazione a cui i personaggi di Scorsese non possono sottrarsi. È come in Quei bravi ragazzi dove, nel quartiere, non si poteva essere altro che criminali. In Killers of the Flower Moon la morte è il pretesto per soffermarsi sulla discriminazione, sul massacro.

Non manca però l’ironia, in un’opera monumentale, già tra i film più belli dell’anno. Un capolavoro imperfetto di tre ore e ventisei minuti, presentato in anteprima fuori concorso al Festival di Cannes.

Da solo, vale la presenza sulla Croisette quest’anno.

 
 
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