A poche ore dalla cerimonia ufficiale per il Palmarès (la chiusura è prevista per domenica sera nella sontuosa cornice del Théatre Lumière, la sala più grande e lussuosa di Cannes, alla presenza di star e di migliaia di invitati), sulla Croisette va per la maggiore il solito gioco: indovina chi si beccherà la Palma d'oro? Lo fanno giornalisti, cinefili e addetti ai lavori. Per fortuna che non si scommettono soldi, al massimo una cena. Perché il rischio di perdere è altissimo. Per quanto si scartabellino appunti, si rileggano critiche, si faccia la media tra stelline e pallini assegnati con magniloquenza da super esperti sulle pagine di riviste specializzate, i premi non dipendono solo dalla qualità (sempre opinabile) dei film in concorso ma anche dalle strane alchimie che si producono in seno alle giurie da festival. Di anno in anno, ormai, sempre più abborracciate. Ecco un trailer del fim Mud, del regista Jeff Nichols, che potrebbe essere l'outsider per la conquista della Palma d'oro :
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Quest'anno, per esempio, Cannes ha affidato la presidenza al nostro
Nanni Moretti. E tanto di cappello ai francesi per l'atto di stima nei
confronti del nostro cinema . Però far guidare i giurati da un regista
affermato è sempre rischioso. I casi sono due: o si autocensura
limitandosi a fare da vigile del traffico tra le opinioni altrui, oppure
afferma la sua personale visione cinematografica dando magari sfogo a
simpatie e antipatie di mestiere. In entrambi i casi sono dolori.
Gli altri giurati sono poi tutti sceggiatori e registi (la britannica
Andrea Arnold, l'americano Alexander Payne, l'haitiano Raoul Peck, la
palestinese Hiam Abbass) oppure attori (la tedesca Diane Kruger, la
francese Emmanuelle Devos, l'inglese Ewan McGregor). Non si capisce,
allora, che cosa c'entri lo stlista Jean-Paul Gaultier, che avrà pure
passato tutta la vita a fare spettacolo (come testimoniano i cartelloni
pubblicitari di cui è protagonista sui muri di Cannes) ma la cui
competenza cinematografica è tutta da verificare.
A dar retta alle critiche favorevoli e agli applausi in sala, a dividersi i riconoscimenti del Palmarès potrebbero essere Amour di Michael Haneke, Like someone in love di Abbas Kiarostami e perfino Cosmopolis di David Cronenberg (che ha parecchio diviso la critica nel partito del pro e del contro) . Residue possibilità anche per il britannico The angels' share del sempre amato (sulla Croisette) Ken Loach e per i due francesi De rouille et d'os di Jacques Audiard (mercè la toccante interpretazione di Marion Cotillard) e Vous n'avez encore rien vu del leggiadro novantenne Alain Resnais. Ecco il trailer del film "Amour", Michael Haneke, una delle pellicole in corsa per la Palma d'oro, con Jean-Louis Trintignant :
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Possibile sorpresa dell’ultima ora, l’intenso Mud girato dal trentacinquenne Jeff Nichols: proiettato proprio in chiusura della rassegna ha catturato e commosso critici e spettatori con il passaggio all’eta’ adulta di due adolescenti, Ellis e Neck, in fuga lungo le rive del Mississippi dai loro problemi familiari. Motore della loro avventura, l’amore: quello puro e assoluto che soltanto quando si hanno 14 anni si riesce a provare. E poi la fiducia negli altri, merce oggi sempre piu’ rara, specie quando a chiederla e’ un uomo misterioso, Mud appunto, che si nasconde alla polizia in un isolotto al centro del fiume.
Perche’ e’ ricercato? Chi sono quei brutti ceffi che lo vogliono morto? E
perche’ Mud dice di aver fatto tutto cio’ che ha fatto per una ragazza?
Iniziata come un gioco, la disavventura si concludera’ in dramma. Che,
per fortuna, arrivera’ soltanto a sfiorare Ellis lasciandolo piu’ maturo
ma sempre sognatore. Bella sorpresa i due giovanissimi interpreti, ma
soprattutto misurato Matthew McConaughey nei panni dell’enigmatico Mud,
cosi’ bravo da farsi perdonare la prova fin troppo sopra le righe
offerta qualche giorno fa sulla Croisette con Paperboy. Difficile,
invece, che possa spuntarla Matteo Garrone il cui Reality non è stato
capito dalla critica straniera: tutti a pensare al Grande Fratello
mentre la storia è una fiaba napoletana agrodolce sulla conquista della
felicità.
Non resta che incrociare le dita e aspettare. La boiata, la scelta
astrusa su cui convergono giurati stremati da ore di discussione, è
sempre dietro l'angolo.
Alla vigilia, una cosa però è certa: la Palma d'oro non verrà assegnata a
Bernardo Bertolucci. E non perché il suo Io e te non lo avrebbe
meritato, anzi. Il fatto però è che il film è stato invitato dal
festival fuori concorso, visto che il regista parmense ha ricevuto
proprio a Cannes, l'anno scorso, la Palma d'oro alla carriera. Nessuno
scandalo, nessuna polemica. Restano gli applausi, scroscianti e
convinti, ricevuti da Io e te sulla Croisette.
“Devo ringraziare Cannes. Dopo The dreamers pensavo di aver chiuso con il cinema”, dice Bernardo che ora riesce a sorridere dalla sedia a rotelle (che lui beffardamente chiama elettrica) su cui l'hanno costretto i malanni alla schiena. “La Palma d'oro alla carriera mi ha spinto a uscire dal guscio, mi sono sentito rimesso in gioco. Mi è tornata la voglia di far cinema”.
Erano passati dieci anni dal suo ultimo set. In mezzo, un'operazione mal riuscita e la consapevolezza di non essere più libero di muoversi. “Scoprirmi paralizzato mi aveva sprofondato nella depressione. Mi ci sono voluti anni per elaborare il lutto”, racconta. “Perdere la mobilità per me, che mi sono sempre agitato sul set, voleva dire perdere la possibilità di fare cinema. Che poi è la mia vita. Ho dovuto imparare ad accettare la nuova condizione, a considerarla normale. Prima di partire per la retrospettiva in mio onore fatta a Los Angeles, Niccolò Ammaniti mi aveva inviato il suo nuovo romanzo: Io e te . L'ho letto d'un fiato e mi è venuta voglia di farne un film, girato in italiano, la mia lingua che non usavo sul set da trent'anni”.
A dargli coraggio è stata anche la particolare ambientazione della storia, che si svolge quasi interamente all'interno di uno spazio chiuso. “Il set lo abbiamo attrezzato nello studio di un amico pittore, Sandro Chia, proprio a due passi da casa”, spiega Bertolucci. “Con la mia sedia elettrica ci arrivavo in due minuti! Alla fine, mi sono trovato benissimo. Ho scoperto che posso fare cinema anche da seduto. E sono arrivato fino a Cannes”.
Dei tanti adattamenti letterari presentati quest'anno al festival,
questo del libro di Ammaniti è senza dubbio il più riuscito.
Probabilmente, grazie anche al coinvolgimento dello stesso autore nella
sceneggiatura, voluto dal regista. Che si è riservato, però, la libertà
di cambiare il finale della storia. “Non mi piace che un tossico, per
convenzione o per moralismo, debba per forza finire male”, la sua
considerazione. “Ho preferito regalare alla ragazza una possibilità,
un'apertura alla vita. E ho voluto io che il film fosse proiettato di
pomeriggio, perché si tratta di una pellicola solare, ottimista”.
La vicenda narrata da Io e te (che uscirà nelle sale a fine
ottobre) è in fondo una storia minimale, capace però di catturare lo
spettatore poco a poco. Ne è protagonista un quattordicenne foruncoloso e
insopportabile, Lorenzo, che si ritrova inaspettatamente a fronteggiare
una venticinquenne dall'aria sicura ed emancipata, Olivia, in realtà
non meno fragile di lui. Ciò che complica la faccenda è che i due sono
fratellastri: figli dello stesso padre e di madri diverse. Non si vedono
da anni, non si conoscono quasi. E l'incontro imprevisto, sulle prime,
suscita scintille. Eppure, nella penombra dell'enorme cantina di casa
dove si nascondono entrambi per giorni (lei per disintossicarsi e
tentare la risalita, lui per non andare in settimana bianca con i
detestati compagni ma fingendo così da non scontentare gli ansiosi
genitori), finiranno per trovare l'uno nell'altro quella complicità
familiare, quell'affetto profondo che gli adulti non hanno saputo dare
loro. E il finale, appena venato di speranza, è un atto di fiducia nei
giovani d'oggi.
“Il piccolo miracolo del film è che assistiamo alla nascita di un amore vero tra fratelli”, sottolinea il regista. “Si tratta di un legame complesso, fatto di sottintesi e di sentimenti, ma anche di sangue e di fisicità”.
Bertolucci non è nuovo al gioco sullo schermo di due soli interpreti (basti pensare al celebre Ultimo tango a Parigi ma anche al più recente L'assedio), quindi l'abilità con cui riesce a rendere dinamica una vicenda che si svolge tra quattro mura non sorprende. Ciò che invece stupisce è che pochi sanno capire e raccontare sullo schermo le turbolenze adolescenziali come fa lui. “E' una cosa su cui ho finito per riflettere anch'io. Fatto sta che gli adolescenti compaiono spesso nei miei film”, ricorda Bertolucci, 71 anni compiuti a marzo. “Da Novecento a L'ultimo imperatore, passando dal Piccolo Buddha per arrivare adesso a Io e te. La prima cosa che mi viene da pensare è che dipende dal fatto che io, dentro, mi sento ancora come un adolescente. L'altra spiegazione, forse, è che i ragazzi, proprio come i vecchi, sono portati per natura a essere trasgressivi, meno conformisti”.
Se si è compiuto il miracolo, parte del merito è anche dei due giovani protagonisti, Jacopo Olmo Antinori e Tea Falco, spontanei e convincenti. “Quando ho visto per la prima volta Jacopo Olmo, con quegli occhi blu e quel faccino che mi ricorda, non so perché, Pasolini, non ho avuto dubbi: Lorenzo era lui”, dice il regista. “Tea Falco è venuta dopo ed è un'Olivia straordinaria. Ha dato molto di sé al personaggio, non solo la bellezza ma anche quel suo muoversi impaziente e leggero, la parlata siciliana. E poi le foto che si vedono sul computer sono sue: ha vinto un premio importante”.
La scena più commovente, nel sotto finale della pellicola, è quando Lorenzo e Tea si ritrovano a ballare insieme, sulle note di Space Oddity di David Bowie. “E' è un momento importante perché la musica, le note servono a esprimere ciò che neppure le parole riescono a dire”, sottolinea Bertolucci. “La canzone è inglese, ma Mogol ne ha scritto una versione italiana: Ragazzo solo, ragazza sola. Una cosa magnifica. Quando gli ho telefonato, per dirgli che avrei voluto utilizzare il suo brano nel film, a un certo punto gli ho chiesto: ma tu come facevi a sapere, nel '69, che io avrei girato questo film su un ragazzo solo e una ragazza sola?”.