Una gigantesca caccia all’uomo è in corso in Turchia, dopo l’attacco nella discoteca Reina nel quartiere Ortakoy, sul Bosforo, frequentato soprattutto da stranieri. Finora 39 le vittime accertate, fra cui almeno 15 stranieri. Poco dopo l'una in Turchia, 23, 30 ore italiane, due persone o anche tre, secondo i testimoni, uno solo (che all'inizio è stato descritto come vestito da Babbo Natale) secondo il ministro degli interni, sono entrate nella discoteca e hanno cominciato a sparare. Molti si sono salvati gettandosi nelle acque gelide del Bosforo.
L’ombra dell’Isis dietro l’attentato portato a compimento nonostante l’imponente apparato di sicurezza che aveva dispiegato 25 mila agenti in tutta la città. Nella discoteca, nel distretto di Besiktas, nella parte europea di Istanbul, c’erano oltre 500 persone al momento dell’attacco. Gli assalitori hanno prima ucciso un poliziotto e una guardia giurata e poi hanno cominciato a sparare a caso sulla folla. Le forze speciali sono immediatamente intervenute, ma gli assalitori sono riusciti a fuggire.
Il presidente statunitense uscente Obama ha parlato di «ferocia», offrendo l’immediato aiuto della Casa Bianca ad Ankara; il dipartimento di Stato Usa ha espresso «solidarietà all’alleato turco», il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg ha condannato il «tragico attacco» e ha dichiarato che «tutta l'alleanza atlantica è vicina alla Turchia», mentre l'alto rappresentante europeo per gli Affari esteri Federica Mogherini ha espresso vicinanza ai familiari delle vittime e ha sottolineato che si deve «lavorare per prevenire tali tragedie».
Per il momento non ci sono rivendicazioni, ma i commentatori locali mettono in relazione l’attacco con l’uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia e con i precedenti attentati targati Isis. La Turchia sarebbe nel mirino per l’alleanza con la Russia, e in particolare per la raggiunta tregua, sul fronte siriano. Sul fronte iracheno e iraniano il Paese, pur accusato in passato di foraggiare l’Isis comprandone il petrolio (accusa sempre respinta dal Governo di Ankara) pagherebbe la sua politica oggi più incisiva contro il pericolo Isis.
Sotto accusa, dal fronte interno, la repressione, dopo il fallito colpo di Stato, che il presidente Erdogan ha scatenato contro larghi settori dell'esercito. Repressione che avrebbe reso più fragile la sicurezza del Paese. Dal canto suo, Erdogan ha dichiarato che l'attentato punta a seminare il caos.