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venerdì 13 settembre 2024
 
 

Capossela Social Club

01/07/2013  Il cantautore ha riunito un gruppo di vecchietti di Calitri, il paese dell’Alta Irpinia dove nacque suo padre, e ha registrato con loro un disco che raccoglie il meglio della musica folclorica suonata dalle bande durante i matrimoni.

Sulle orme di Wim Wenders e Ry Cooder in Buena Vista Social Club, Vinicio Capossela ha riunito una banda di simpatici vecchini provenienti da Calitri, paese dell’Alta Irpinia dove nacque suo padre Vito, e l’ha portata in uno studio di registrazione. Il risultato è Primo ballo, un disco che raccoglie il meglio della musica folclorica suonata tra gli anni Venti e gli Ottanta del secolo scorso da bande stabili durante i grandi festeggiamenti che seguivano il rito religioso del matrimonio e che potevano durare anche due giorni. «Quando i tempi sono difficili, bisogna ripartire dalle nostre prime certezze di essere umani, anche e soprattutto i primi momenti festosi che abbiamo vissuto», racconta Capossela, che per la prima volta si ritrova nei panni di produttore. A Calitri, Vinicio, ci è tornato spesso, lì ha scoperto questa banda di anziani suonatori di mandolino, chitarra, fisarmonica e organo che si esibivano davanti la posta (da qui il nome, Banda della posta). Quasi un rito scaramantico, perché la posta è il luogo dove vengono conservati i soldi della loro pensioni. Così ha scoperto l’esistenza di alcune danze e alcune canzoni che venivano utilizzate per le grandi feste che spesso coinvolgevano il paese intero.  

Una musica che non c’è più, Capossela?

«È così, queste musiche che loro eseguono in maniera meravigliosa contengono le memorie viventi di una pratica ormai consumata. Però il disco non vuole essere un omaggio a qualcosa che non c’è più; è piuttosto un invito a ballare, a ballare abbracciati. È un atto di amore rispetto a una tradizione che è sempre esistita e ultimamente poco praticata. Eppure erano feste talmente belle che oggi potremmo vederle solo al cinema. Il matrimonio viveva, proprio nel momento della festa, un momento liberatorio, era il punto di partenza di una nuova fase della vita, certamente quella dedicata all’amore e alla cura della persona amata».  

In termini musicali oggi cosa sopravvive di quella musica?

«Sono musiche basate su un repertorio che sopravvive da 80 anni e passa, forse destinate a diventare immortali. Oggi gran parte dei brani che finiscono nelle classifiche durano un anno e poi vengono dimenticati. Le musiche tradizionali coinvolgono invece un orgoglio di appartenenza, sono più radicate nella memoria storica delle comunità che le hanno vissute».  

Musiche che avevano a che fare in qualche modo con la funzione religiosa durante la quale si celebrava il matrimonio?
«In verità no, erano due fasi ben distinte; prima il matrimonio, poi la grande festa. Però è indiscutibile che ci siano stati dei punti di contatto piuttosto evidenti: il primo è la partecipazione, molto spesso ed è così anche nel caso della Banda della posta, dell’organista di Chiesa, che era colui che poi suonava l’organo durante le feste. Il repertorio è composto da valzer, quadriglie, polke e canti folclorici di altro genere».  

Ha mai assistito a un matrimonio del genere?

«Purtroppo no, però ho recuperato da un avvocato del paese dei documenti molto interessanti: proprio come in un film le diverse tappe dei festeggiamenti erano preconfezionate».

Perché si è subito affezionato a queste musiche?
«Non solo perché le ascoltavo da bambino, anche e soprattutto perché è una denuncia alla perdita di memoria civile di certa musica di oggi. È un grave errore seppellire le nostre memorie»

Qui sotto, Vinicio Capossela con la Banda della Posta in Francesca la Calitrana 



 
 
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