«Non rivendichiamo il diritto dei cappellani di stare nelle
forze armate, ma stiamo lavorando perché sia sancito il diritto di ogni
militare a poter accedere a un servizio – il servizio dell’assistenza
spirituale – limitando al massimo le spese per lo Stato». Monsignor Angelo
Frigerio, vicario generale dell’ordinariato militare chiarisce, dopo le
polemiche dei giorni scorsi, che «se noi preti non lavoriamo nelle Forze armate
non restiamo certo disoccupati, andremo in parrocchia. Lasceremo però da sole
delle persone che fanno un lavoro davvero difficile, soprattutto quando sono in
zona operativa, che rischiano la vita ogni giorno e che hanno diritto al nostro
servizio».
Attualmente 158 (61 nell’Esercito, 29 nei Carabinieri, 27
nella Guardia di finanza, 23 nell’Aeronautica e 18 nella Marina), su un
organico che ne prevede 204, i cappellani militari «offrono un servizio
peculiare», continua monsignor Frigerio. «La Commissione paritetica, di cui
fanno parte Cei, Santa Sede e Governo italiano, che sta lavorando per una
riforma dell’ordinariato militare sta tenendo conto proprio di questa
specificità». Entro il 20 giugno si concluderanno i lavori delle due sottocommissioni:
una sui principi fondamentali e una sulla struttura giuridica e la disciplina. La
Commissione poi, sulla base di queste conclusioni varerà una bozza conclusiva
che – probabilmente tra fine settembre e inizio ottobre – sarà portata all’esame
del Parlamento.
«Si tratta di materia concordataria» chiarisce il vicario, «e
dunque non possono essere fatte modifiche in quella sede. In caso di
approvazione diventerà legge, in caso contrario si dovrà riprendere a discutere
in Commissione».
Tra i punti caldi monsignor Frigerio cita anche quello delle
stellette: «Necessarie perché i cappellani, nelle Forze armate, non possono e non debbono
apparire come degli estranei. Ma al tempo stesso non devono essere confusi con
tutti i militari in armi, con coloro che hanno una funzione bellica. La
peculiarità dei cappellani militari si trasforma non in una identificazione, ma
in una “assimilazione”: sono assimilati alla figura dell’ufficiale come nella
maggior parte delle forze armate che compongono la Nato. Hanno, per
assimilazione, un grado militare perché il grado militare è la chiave
interpretativa, la password per stare nelle Forze armate, ma potremmo dire che
è un ufficiale “sui generis”».
Dal punto di vista economico la Commissione sta studiando
dove operare i risparmi. «Sulla base dell’esperienza dell’ultimo quinquennio»,
continua monsignor frigerio, «l’ordinario militare, monsignor Santo Marcianò,
ha verificato che è possibile assicurare l’assistenza anche con 162 ecclesiastici.
Resterebbero dunque in pianta organica l’ordinario e il vicario, come in una
diocesi ordinaria e 160 cappellani, cioè 42 unità in meno rispetto alla pianta
organica precedente. Tra questi 42 di cui si farebbe a meno rinunciamo a 12 che sono
assimilati a gradi dirigenziali: 3 al grado di brigadiere generale e 9
colonnelli. Rinunciare a questa parte dirigenziale e agli altri 30 farà
scendere la spesa a livello nazionale dai poco più di nove milioni di euro
attuali a poco meno di sei. Siamo orgogliosi di aver proposto noi per primi
questo taglio in comunione anche con quanto chiede il Papa ai sacerdoti: una maggiore
essenzialità nella loro vita economica».
Il vicario si sbilancia anche sugli stipendi che, nella
nuova struttura, andranno da un minimo di 1.600 euro netti per un tenente a un
massimo di 2.000 euro netti per un tenente colonnello. Inoltre «per il
cappellano, la sua evoluzione di assimilazione di grado si svolgerà in tre
decenni: i primi dieci anni è assimilato al grado di tenente, i secondi al
grado di capitano, i terzi a maggiore. Dopo 30 anni si raggiunge il grado di tenente
colonnello. I cappellani non potranno andare oltre». Nella riforma
sono esclusi gli straordinari, «ma è stata aggiunta una clausola nella quale si
garantisce l’assicurazione a maggior tutela del comandante che gli permette di
svolgere l’attività di cappellano fuori dagli orari di servizio». Resta,
invece, l’indennità di missione, «ma mi sembra giusto che questa indennità
permanga», conclude il vicario con una battuta, «perché se un sacerdote va, per
esempio, in Afghanistan con le truppe, condivide con i suoi soldati la totalità
della missione e dei pericoli. Per lui non c’è un cartello che dice: “Qui c’è
il cappellano, non sparate!”».