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Benessere

Capricci a tavola: cosa fare se il bimbo dice "no" ai broccoletti

19/06/2017  Spesso, i bambini non mangiano perché cercano di attirare l’attenzione dei grandi e di comunicare così i loro sentimenti. Per aiutarli, occorre saperli ascoltare, ma anche riuscire a dare limiti ben precisi

Emilio ha 3 anni e mangia solo cibi bianchi. Se si prova a proporgli altro, scappa da tavola, urla e si mette a piangere. Con l’arrivo di sua sorella Roberta, chiede sempre di cenare in braccio alla mamma. Simona ha 7 anni e rifiuta tutto ciò che è verde, odia le verdure, dice che «sono viscide e le fanno schifo», quindi le sputa. Luigi ha 6 anni e mangia solo pane, focacce e yogurt. Prima di iniziare la scuola elementare era diverso, adesso sembra che non gli interessi più mangiare.

  
Queste sono alcune lettere di genitori. Le abbiamo sintetizzate e girate ai nostri esperti.

Ci sono bambini che mangiano poco, troppo, niente, a colori, o solo in bianco. Mamma e papà si chiedono perché e, talvolta, si preoccupano. E se non fossero solo capricci? Sempre più spesso, ci troviamo di fronte a bambini in età prescolare e scolare che a tavola presentano un rapporto difficile con il cibo e manifestano alcune “bizzarrie” che fanno allarmare gli adulti che si occupano di loro.

Per introdurre l’argomento, mi rifaccio al pensiero che sta alla base della filosofia dell’associazione Pollicino e Centro crisi genitori Onlus. Nel testo SFamami (Bruno Mondadori 2009, 169 pagine, 12 euro) le autrici, Pamela Pace e Aurora Mastroleo, parlano di “cibo per il cuore”. L’atto del nutrirsi, sin dalla nascita, assume significati che esulano dal mero riempimento dello stomaco. Nello specifico, la relazione del bambino piccolo, prima con la propria madre e poi con l’ambiente familiare, è attraversata dal complesso intrecciarsi della dimensione affettiva con la funzione alimentare.

Può accadere che, quando i bambini a tavola “si comportano in modo disordinato e oppositivo”, gli adulti reagiscano infastiditi, pensando che tale atteggiamento non sia altro che un “capriccio”, un desiderio ostinato. È possibile che il bambino decida di opporsi o di trasgredire a ciò che prima per lui costituiva un’adesione. Ci sono bambini che trascorrono la prima infanzia evidenziando un rapporto corretto con il cibo e che, in un secondo momento, nel desiderio di definire chi sono, scelgono di servirsi del comportamento alimentare per rivendicare una propria autonomia e identità. I genitori, in queste occasioni, possono sentirsi presi di mira, e leggere questi comportamenti come un dispetto nei loro confronti. Ma il capriccio non è riducibile a un semplice dispetto. Può cioè esprimere l’esigenza del bambino di mettere alla prova l’adulto nel porre dei limiti, delle regole. In generale, il “capriccio” può essere anche una forma particolare di comunicazione da interrogare, un “campanello d’allarme”.

«Mamma, mi vuoi ancora bene, anche se è arrivata Roberta? Che posto ho nei tuoi pensieri e nel tuo desiderio»?, sembrerebbe voler dire Emilio, mentre scappa dalla tavola urlando. «Papà, la nuova scuola mi stanca molto, non posso più giocare come prima e mi manca la maestra dell’asilo», potrebbe pensare Luigi, mentre chiede di saltare la cena.

Pertanto, la tavola e il momento del pasto possono essere considerati il palcoscenico di un teatro dove trovano espressione dubbi, proteste, interrogativi, paure del bambino, che non riescono a esprimersi con le parole. Una forma di comunicazione criptata, dunque. Non si intende, quindi, che i bambini che non mangiano, o mangiano troppo, sono malati, quanto piuttosto di una modalità usata dal bambino di dire al genitore chi lui sia, una richiesta di essere pensati e riconosciuti come soggetti. In definitiva, l’ambito nutrizionale in età evolutiva non può essere trattato solo come qualcosa da educare o medicalizzare, ma deve essere compreso. Ecco perché è consigliabile che i vari modi con cui i bambini cercano di attirare l’attenzione del genitore durante il momento del pasto (buttando i tovaglioli per terra, rovesciando l’acqua, sputando il boccone…) non vengano liquidati solo come capricci, virus da estirpare, ma letti come comportamenti da interrogare, in quanto esprimono qualcosa del bambino stesso e gli consentono di comunicare i suoi sentimenti.

È importante fornire al bambino un ascolto sensibile restituendo, allo stesso tempo, delle risposte in grado di proporre limiti e norme che ripristino il piacere di stare a tavola insieme. È sconsigliabile utilizzare interventi intimidatori: «Se non mangi tutto, stanotte arriva il mostro a rapirti»; ricattatori: «Se finisci tutta la cena, ti compro un regalo»; o impiegare logiche affettive: «Il papà ti vuole bene solo se finisci il piatto».

Prestare attenzione all’atmosfera familiare durante i pasti contribuisce a fare della tavola quotidiana un buon incontro tra genitori e figli.

DISAGI O DISTURBI?

  

I disagi alimentari (bizzarrie, inappetenze, rigida selettività) riguardano quadri transitori di malessere del bambino. Il piccolo, invece di esprimersi con la parola o con il pianto, utilizza il cibo e l’atto nutritivo per dire e protestare. In genere, il bambino prova a lanciare un messaggio rispetto alla sua sofferenza interna. I disturbi alimentari (anoressie da svezzamento, anoressie primarie/secondarie, obesità endogene ed esogene), invece, si riferiscono a comportamenti patologici più seri, dove il rifiuto o la ricerca vorace del cibo spesso sono accompagnati da malesseri presenti anche in altri settori (sonno, gioco, rapporto con gli altri...).

UN DESIDERIO OSTINATO

Il capriccio, secondo la definizione del Vocabolario della lingua italiana, è una voglia bizzarra, un ghiribizzo, un desiderio ostinato. Per la psicoanalisi, invece, il capriccio di un bimbo spesso rappresenta un “campanello d’allarme”, veicolo di un messaggio soggettivo. Un modo di esprimersi, sicuramente faticoso e disturbante, il quale, tuttavia, necessita di essere letto all’interno della storia del bambino e della sua famiglia.

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