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venerdì 20 settembre 2024
 
 

Cardella: il momento è a rischio

19/05/2012  Il procuratore di Terni, che indagò in Sicilia sulle stragi del 1992, invita alla prudenza, ma spiega: "L'incertezza politica ed economica sono un fattore di pericolo".

Fausto Cardella oggi è Procuratore a Terni, ma il suo sguardo sul fenomeno mafioso s'è affinato vent'anni fa a Caltanissetta, dove indagò sulle stragi in cui morirono Falcone e Borsellino. Raggiunto al telefono, accetta di riflettere, premettendo ogni cautela e invitando alla massima prudenza, sul fatto di Brindisi che ci sconcerta in queste ore.


Dottor Cardella, alla luce della sua esperienza, quali sono le prime riflessioni?
«Premetto che è giusto prendere le mie riflessioni con la cautela che meritano, da un lato perché non conosco i particolari, dall'altro perché ogni valutazione è prematura. Quello che salta all'occhio è che la Puglia sarebbe un obiettivo atipico, le uniche coincidenze che portano le prime valutazioni a pensare alla mafia sono il passaggio della Carovana antimafia e l'intitolazione della scuola a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. E' troppo presto per fare valutazioni di qualsiasi genere. Anche se il collegamento con le stragi del 1992-93, soprattutto Georgofili e Velabro, viene istintivo. Però, ripeto: prudenza. Posso dire solo una cosa: che le situazioni di grande incertezza, come quella che dal punto di vista economico e politico stiamo vivendo, sono potenzialmente a rischio. Ce lo insegna la storia: dal 1969, anzi da prima da Portella della Ginestra: storicamente le grandi incertezze politiche e sociali sono il terreno fertile perché cose di questo genere accadano. Se questo fatto sia da ascrivere a questa logica o ad altre sarebbe presuntuoso dirlo, non solo per me, ma soprattutto per me. Aspettiamo che parlino le indagini». 

Vent'anni fa fu naturale collegare le stragi al fatto che il maxiprocesso aveva per la prima volta certificato anche giuridicamente l'esistenza di Cosa Nostra accendendole sopra un riflettore senza precedenti. Anche in questi anni, soprattutto negli ultimi due, da quando le indagini di criminalità organizzata al nord sono approdate a due maxiprocessi a Milano e a Torino, si parla molto di criminalità organizzata. 
Fate queste premesse, sarebbe illogico pensare che questa attenzione "sgradita" sul tema, che le celebrazioni di questi giorni acuiscono, possa avere un ruolo? 
«In astratto, è una riflessione non del tutto azzardata: la storia ci insegna che è già accaduto, per esempio con l'attentato a Maurizio Costanzo nel 1993. L'alzare l'attenzione, da parte dei mass media e della società civile, sulla criminalità organizzata, portò allora a questo tipo di attentato. Però è giusto dire che fu, in questo senso, un fatto abbastanza isolato e, per così dire, atipico. Quello che a una prima analisi, con tutte le cautele del caso, vien da dire è che il tema della legalità è da tanto presente nelle iniziative della società civile, della scuola, delle associazioni, mentre abbiamo assistito a un calo di attenzione da parte della politica. E allora mi chiedo: se l'ipotesi che si fa in queste ore fosse confermata, che cosa hanno voluto colpire? Che cosa hanno temuto? Più ci penso più mi dico che oggi abbiamo organizzazioni di criminalità organizzata più in buona salute rispetto a Cosa Nostra. Quello che si nota, per il momento, è la scelta di un obiettivo terroristico, simbolica: la scuola Falcone, la Carovana di Libera che passa... e, se fosse come si dice, sarebbe certamente sconcertante, dirompente». 

Soprattutto perché colpisce una scuola... 
«Se la matrice fosse mafiosa, se l'obiettivo fosse una firma,  il fatto che colpisca i ragazzi renderebbe l'attentato ancora  più grave  di quello del Velabro. Fin qui possiamo arrivare con la logica. Mi sembra più difficile capire che cosa avrebbero voluto combattere ed esorcizzare. Non vedo in giro molti provvedimenti antimafia così temuti o temibili. Vedo invece uno scenario politico ed economico di grande incertezza. E' quello che mi preoccupa di più. Mi rendo conto che è una ricostruzione assai superficiale e confusa. Ma, mi dico, se io dovessi oggi indirizzare le indagini, come facemmo all'epoca con Capaci, a Caltanissetta con Ilda Boccassini, io aggiungerei all'ipotesi A: "la mafia", un'ipotesi B: "non solo mafia". Devo dire che l'ipotesi B, fu quella che apparve subito più attendibile, quella su cui si lavorò allora e su cui, ancor oggi, a proposito del 1992, si lavora. Mi toccasse oggi non escluderei l'ipotesi B. Quello che io temo ora però è la retorica della stampa e dei politici. Ci sarà una ridda di frasi di vuota retorica attorno a questo terribile episodio e già sto male all'idea».

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