Sono quasi dieci anni che il suo Paese, la Repubblica Centrafricana, non conosce pace. Ma da sempre quello della riconciliazione e della fratellanza è un imperativo imprescindibile per il cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui. Un imperativo che si lega strettamente al messaggio evangelico della speranza. «Chi spera non teme nulla», diceva al suo ritorno nella capitale centrafricana nel 2009 in veste di amministratore apostolico: «Il domani della nostra comunità cristiana si scrive con una grande “S”, quella della parola “Speranza”». È quello che ha continuato a ripetere in tutti questi anni, da quando cioè, tra il 2012 e il 2013, il suo Paese è sprofondato in un conflitto civile e in una spirale di violenze da cui cerca faticosamente di risollevarsi. Anche grazie al suo costante e infaticabile impegno, come racconta nel libro, in uscita in questi giorni, La mia lotta per la pace. A mani nude contro la guerra in Centrafrica (Libreria Editrice Vaticana, pp. 160, euro 15).
Classe 1967, membro dell’Istituto dei missionari del Santo Spirito, Nzapalainga viene da una famiglia di dieci figli, mamma protestante e padre cattolico. Sacerdote dal 1998, ha studiato e operato in Francia, specialmente con i giovani difficili di Marsiglia, prima di rientrare in Centrafrica, dove è stato nominato arcivescovo di Bangui nel 2012 da papa Benedetto XVI e cardinale nel 2016 – a soli 49 anni – da papa Francesco. Il quale, proprio nella capitale centrafricana, andò, in piena guerra e contro il parere di molti, per aprire la Porta santa dell’anno della Misericordia nel 2015. Questo gesto fortemente simbolico ha dato grande coraggio a tutti coloro che, come il cardinale, si sono messi in gioco perché non vincessero le logiche di guerra e di morte.
UN LUNGO TMPO DI PROVA
«Abbiamo vissuto anni molto difficili», conferma alla vigilia del suo viaggio in Italia, dove sarà impegnato in molti incontri, tra i quali il Festival Biblico di Vicenza, il 27 maggio. «Solo ora iniziamo a vedere qualche spiraglio concreto di pace. Sino a non molto tempo fa, infatti, quasi l’80 per cento del Paese era in balìa di gruppi ribelli e mercenari. Ora tutte le città più grandi sono tornate sotto il controllo del governo, mentre quelle più piccole e molte zone rurali, specialmente a ridosso dei confini, continuano a essere destabilizzate da miliziani e banditi». Scoppiato per motivi politici e geostrategici, ma soprattutto per il controllo delle ingenti risorse minerarie del Paese, il conflitto centrafricano si è enormemente complicato anche per la presenza di forze straniere, ribelli, mercenari e fondamentalisti islamici, e più recentemente del famigerato Gruppo Wagner, assoldato dal governo, che proprio qui, ancor prima che in Ucraina, si è distinto per le atrocità commesse specialmente nei confronti dei civili.
Stragi, torture, stupri, devastazioni: il conflitto centrafricano ha provocato migliaia di morti e feriti e milioni di sfollati e profughi. Quasi tre-quarti dei 6 milioni di abitanti, infatti, sono stati costretti a fuggire dalle loro abitazioni: un esodo di massa e una crisi umanitaria apocalittici. Ancora oggi molti non hanno potuto fare ritorno alle loro case. «A fine marzo», ci racconta il cardinale, «sono stato in visita, insieme al vescovo di Bouar Mireck Guckwa, ai profughi che si trovano in Camerun. Sono circa 25 mila e in tutti questi anni non hanno mai ricevuto la visita di alcuna autorità. Sono stati completamente abbandonati. Abbiamo organizzato alcuni camion per riportarne un gruppo nei quattro siti allestiti nella diocesi di Bouar con l’obiettivo che possano riprendere al più presto una vita normale».
DESIDERIO DI NORMALITÀ
Quella della “normalità” è una grande sfida per chi cerca di lasciarsi alle spalle una guerra. E non solo per le distruzioni di città, villaggi, scuole, ospedali, campi e luoghi di produzione. Ma anche per la devastazione dei cuori, per il veleno dell’odio, della paura e della vendetta che rimane in circolo. Lo sa bene il cardinale Nzapalainga, che ha rischiato più volte la vita e che ha fatto scelte non sempre comprese: come quella di ospitare nella sua casa l’imam e la sua famiglia – in un periodo in cui il conflitto aveva preso una pericolosa connotazione etnico-religiosa – o come quando ha fondato la Piattaforma interreligiosa per il dialogo. «Non è stato facile», ammette. «Non tutti, anche tra i cristiani, hanno capito la mia scelta di dare ospitalità e di proteggere dei musulmani in un momento in cui erano etichettati senza distinzione come i “nemici”.
Eppure, allora come oggi, penso che l’unica strada sia quella di non generalizzare e di ascoltare l’altro». Ripete spesso un’espressione tipica della cultura africana: «Occorre sedersi». Di fronte ai problemi, non si reagisce e non si agisce immediatamente come faremmo noi occidentali. Ci si siede, ci si parla e ci si ascolta. «È quello che abbiamo sempre cercato di fare come Chiesa», precisa: «Promuovere la mediazione, favorire il dialogo, accogliere le sofferenze, asciugare le lacrime e dare voce a chi non ce l’ha». Anche la Piattaforma interreligiosa, fondata nel dicembre del 2012 insieme al pastore protestante Nicolas Guerekoyame-Ghangou e all’imam Omar Kobine Layama (scomparso nel 2020), ha continuato instancabilmente la sua opera di pacificazione. «Negli scorsi mesi siamo andati a Bambari per incontrare la gente, le autorità, i rappresentanti della comunità internazionale con lo scopo di prevenire le violenze, salvare vite umane e facilitare il dialogo». Il pensiero corre istintivamente all’Ucraina: «La soluzione non è nelle armi ma, appunto, nel dialogo. Occorre far cadere le maschere e gettare le basi per costruire nuovi ponti. Il Papa ha espresso il desiderio di mediazione. Occorre sedersi al più presto e parlarsi, per mettere fine a tutta questa violenza e disumanità».
PERCORSI DI RICONCILIAZIONE
Anche per il Centrafrica il cardinale insiste sulla necessità di avviare al più presto o di consolidare i percorsi di riconciliazione: «Dobbiamo ricominciare dalle scuole, dall’educazione e dalla cultura, per disarmare anche i cuori e pensare di costruire un futuro di vera pace», afferma con convinzione. «La Chiesa è stata ed è un punto di riferimento imprescindibile in questa situazione di crisi e di miseria. Spesso, anzi, è l’unico riferimento, specialmente nelle zone più remote e abbandonate del Paese. Ora però occorre guardare avanti. Dobbiamo combattere l’ignoranza su cui non si può costruire alcun futuro. Le scuole sono un luogo di incontro e di crescita formidabili, una proiezione verso l’avvenire. Sta qui anche il senso del mio libro, il cui ricavato servirà innanzitutto per mandare i bambini a scuola».
FESTIVAL BIBLICO
RIFLETTERE SULL'APOLISSE
Il cardinale Dieudonné Nzapalainga sarà a Vicenza al Festival Biblico venerdì 27 maggio alle 19.15 (Brolo del Palazzo vescovile) per un dialogo sulla pace in Centrafrica con don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa-Cuamm, l’ong di Padova che gestisce l’ospedale pediatrico di Bangui, l’unico nel Paese. Negli stessi giorni il Festival Biblico è nel pieno della sua proposta che quest’anno ha per tema «E vidi un cielo nuovo e una terra nuova» (Apocalisse 21,1). Tra gli altri appuntamenti, segnaliamo: il 28 maggio alle 10.30 il giornalista di Credere Paolo Rappellino intervista il politologo Dario Fabbri e la storica Simona Merlo sul fattore religioso nella guerra tra Russia e Ucraina; alle 11.45 il biblista Luca Pedroli dialoga con la saggista Gabriella Caramore su L’esperienza provvidenziale della tribolazione; alle 15.30 il filosofo Josep Maria Esquirol e padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte, riflettono su La forza della mitezza; il 29 maggio alle 9 Il morso della bestia nel mondo e la sfida della speranza con la scrittrice Benedetta Tobagi; alle 10.30 dibattito su Alla Chiesa italiana scrivi: Non ti manchi il coraggio, con i teologi Andrea Grillo e Marinella Perroni. Programma completo: www.festivalbiblico.it.