Anche un pasto frugale ha un buon sapore se mangiato a tavola con la famiglia. Lo sanno bene le decine di persone accolte nell’ambito del progetto “Rifugiato a casa mia”. «Abbiamo preso spunto dall’iniziativa del Comune di Torino“Rifugio diffuso”, per questo progetto pilota che prevede l’accoglienza in nuclei familiari di persone rifugiate fino alla loro completa autonomia», spiega don Francesco Soddu, direttore della Caritas italiana: «Un’esperienza pilota che stiamo condividendo con altre diocesi. L’accoglienza va pensata riparten do dai valori più importanti. Sull’immigrazione va rivista la legislazione, in particolare quella sul lavoro, perché abbiamo un mercato taroccato che sfrutta gli immigrati e allarga il lavoro nero, ma poi bisogna pensare al fenomeno intermini generali. Considerando tutta lapersona e le sue relazioni».
Le famiglie italiane si sono mostrategenerose nel mettere a disposizionedi rifugiati e immigrati le proprie case, «rendendo più facile l’integrazione. Quando c’è una rete familiare, tutto è più facile». Un’esperienza che arricchisce gli stessi italiani e che si allarga a macchia d’olio. «Mettendo alla prova lestesse famiglie che sperimentano la loro capacità di accogliere persone provenienti da contesti e culture diversi». Finora, in tutto 32 persone, fra cui anche due nuclei familiari, accolti in 22 famiglie di 11 diverse diocesi. «Un progetto», conclude il direttore della Caritas,«che ci sta facendo capire come la rete, sia quella familiare, sia quella più allargata della parrocchia, dell’intera comunità cristiana, del Paese, dell’Europasiano la carta vincente per promuovere la dignità delle persone. Dobbiamo ricordarci, e agire di conseguenza, che facciamo tutti parte della grande famiglia umana».