«Ci incontrammmo per la prima volta il 23 ottobre 2004, in occasione della chiusura della prima edizione di Terra Madre a Torino. Parlò in maniera empatica e competente a 5 mila contadini che provenivano da 35 Paesi diversi. Fece un discorso che, più di vent'anni dopo, è ancora attuale: "Ho sempre creduto che l'agricoltura sia non solo la più antica ma anche la più importante attività umana. E' la base della cultura e della civiltà stessa". Già in quel primo incontro c'erano le basi per quella che è stata una bella amicizia. L'allora principe Carlo, oggi re Carlo III, era già un appassionato di biologico, di vita contadina della tradizione, dell'artigianato legato alla terra, di biodiversità. Le sue parole ci unirono per sempre, perché condividevamo gli stessi ideali. Pensieri che allora ci facevano passare per visionari, ma che oggi sono all'ordine del giorno e sul tavolo di tutti i Governi».
La passione di Carlo III per la natura, i giardini, per le sue rigogliose tenute estive di Highgrove House sono note, ma chi questo amore e queste conoscenze le ha potute vivere da vicino è un altro Carlo, uno di casa nostra: Carlo Petrini, noto a tutti come Carlin, il gastronomo, sociologo, scrittore e attivista italiano, fondatore dell'associazione Slow Food.
«Dopo quel primo incontro, ci siamo visti altre volte in Italia, durante le sue visite», continua Petrini. «Ma sono stato anche a Londra e nella sua tenuta, dove ho avuto occasione di approfondire i suoi e i miei interessi. Davanti al camino, in un'intervista apparsa su La Repubblica nel gennaio 2007, abbiamo chiacchierato con viva preoccupazione dei rischi mortali per l'ambiente creati da modelli di sviluppo non più sostenibili, e sulle strade da percorrere per garantire un futuro agli uomini. Temi altissimi e ancora più attuali oggi: quell'articolo, che infatti il quotidiano Repubblica ha ripubblicato sul suo sito poche ore fa, sembra scritto oggi, nel giorno della sua proclamazione a re del Regno Unito. L'allora principe Carlo d'Inghilterra concluse l'intervista con l'appello a noi italiani a non perdere quello che rende così speciale il nostro Paese: "L'antica saggezza, la capacità di capire che puoi fare della vita stessa una forma d'arte"».
- Quindi re Carlo III si occupava già con grande attenzione di questi temi.
«In quegli anni lui veniva guardato come uno che si impegnava di cose futili, proprio come a noi di Slow Food davano degli utopisti nostalgici. Ora nella nostra società c'è una grande riflessione e un'attenzione speciale alla madre terra. Quelli che un tempo erano considerati temi poco rilevanto, ora sono tra gli obiettivi primari per il Pianeta. E Carlo in questo è sempre stato molto avanti».
- Come è stata la vostra amicizia? Quando vi siete sentiti l'ultima volta?
«Purtroppo con la pandemia non ci siamo più incontrati. L'ho sentito l'ultima volta per gli auguri a Natale. Ma la nostra è un'amicizia legata dai valori che insieme abbiamo potuto approfondire. Una sera ho portato l'allora principe del Galles, venuto in visita alla nostra Università di Pollenzo, in un'osteria delle Langhe che, destino voleva, si chiama la Ca' del Re. Il protocollo e i controlli furono ovviamente rigorosi e ci fu detto che Carlo si sarebbe sicuramente ritirato verso le 10, massimo le 10 e mezza. Invece rimase a chiacchierare con me fino all'una... Tra l'altro ama tantissimo la nostra cucina. Un giorno disse a tutti che ero "un suo eroe"».
- Ha conosciuto bene anche la regina consorte Camilla?
«Si, certo, lei lo accompagnava nei suoi viaggi in Italia. Una donna molto elegante, discreta. Ad Amatrice, dove ci recammo insieme dopo il terremoto per incontrare contadini e artigiani colpiti dalla calamità naturale, si rapportò con grande sensibilità e affetto con tutte le persone che lo avvicinavavo».
- Cosa fece Carlo per i terremotati in quell'occasione?
«Si occupò in prima persona per promuovere a Londra e nei mercati inglesi i prodotti di quelle terre disastrate. Lui non è uno da "bla bla bla" politico. Si spende e vuole conoscere le persone, vedere coi propri occhi. Lui sa rapportarsi e parlare anche alle giovani generazioni, per esempio all'ultima Cop26 di Glasgow si è incontrato con i ragazzi dei Fridays for Future. Sa parlare il loro linguaggio e infatti lo ascoltavano».
- Cosa si aspetta da un re così, lei che lo ha conosciuto da vicino?
«Non fate a me questa domanda. Ho avuto la fortuna di essere diventato amico di un Papa e sono agnostico. Di avere conosciuto il re di una delle Nazioni più importanti del mondo prima che lo fosse e sono repubblicano... Non lo so, non abbiamo mai parlato di politica. Ma una volta abbiamo parlato proprio di Francesco e della sua Laudato si' . Ne era rimasto impressionato per la lungimiranza e i temi che glielo rendevano così umanamente vicino. Il Pontefice, parlando di amore e rispetto del Pianeta aveva toccato ogni sua corda».
-Provi ad azzardare un pensiero su Carlo e suo ruolo che ora ricopre, dopo la scomparsa della madre, una delle massime figure della storia contemporanea...
«Penso che non potrà più essere un attivista ambientalista, ma saprà essere un uomo rigoroso, serio, super partes, che più di altri governanti saprà tenere alta l'attenzione ai temi cari a chi sa da sempre che non c'è una Terra due. Il suo stile e le sue convinzioni resteranno di certo parte fondamentale dei suoi programmi per gli anni futuri. Qualcuno lo vede come un re di transizione, vista l'età. Ma la mia esperienza mi dice che proprio a figure di transizione si devono le più grandi rivoluzioni della storia. Basta pensare a ciò che ha fatto in cinque anni di pontificato Giovanni XXII: ha cambiato la storia della Chiesa».
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