Carlo Petrini, Presidente di Slow Food, durante una conferenza stampa (Mosca, 2018). In alto: papa Francesco nei Giardini Vaticani, durante la celebrazione della festa di San Francesco. il 4 ottobre 2019. In occasione della ricorrenza venne piantato un leccio di Assisi, come "gesto visibile di un'ecologia integrale". (foto ANSA)
«L’intuizione più grande della Laudato Si’? Aver collegato il tema ambientale con quello sociale. Aver detto con chiarezza che il grido di dolore della terra ferita è anche il grido dell’umanità. Soprattutto dei più poveri». Parola di Carlo Petrini, per tutti semplicemente Carlìn, fondatore di Slow Food (l’associazione internazionale da sempre impegnata per un cibo “buono, pulito e giusto”, per la difesa della biodiversità e delle comunità agricole). Sono passati sei anni dalla pubblicazione dell’enciclica di papa Francesco dedicata alla cura del creato. Sei anni che sembrano decenni: Greta Thunberg, i ragazzi dei Fridays for Future, l’America di Trump e quella di Biden, il Brasile di Bolsonaro, l’amazzonia in fiamme. E ovviamente la pandemia. Eppure quel documento del Santo Padre, così inatteso e così nuovo, rimane «una bussola per il pianeta». Ecco perché, nella giornata mondiale della biodiversità (22 maggio) e nei giorni successivi che sigillano l'Anno dedicato proprio alla Laudato si', Petrini torna, da uomo laico, a riflettere su un’enciclica che l’ha profondamente toccato, ma che l’ha anche coinvolto in prima persona. E ci racconta qualcuno dei prossimi passi di Slow Food.
A distanza di sei anni, che cosa abbiamo compreso della Laudato si’? E quali frutti ha prodotto?
«Oggi la comunità internazionale – seppur un po’ troppo lentamente – sta approdando a un punto di svolta sulle tematiche ambientali. In questo processo, il messaggio di Francesco ha avuto un ruolo decisivo. Un messaggio universale, che sul momento ha colto tutti impreparati, tanto i cattolici, quanto il mondo laico. Una riflessione di portata storica. Viene in mente il ruolo che papa Giovanni XXIII ebbe, nel 1962, quando, durante la crisi di Cuba, contribuì a scongiurare una catastrofe nucleare. Credo che la Laudato si’ abbia una valenza paragonabile».
In più occasioni, esprimendosi su questo documento, il Papa ha spiegato che non si tratta di un’enciclica “verde”, ma di un’enciclica sociale.
«Verissimo. E credo che questo sia proprio il contributo più importante apportato al dibattito sull’ambiente. Con il concetto di ecologia integrale, Francesco collega in maniera compiuta la salute della terra con la salute dell’umanità. E ci offre una visione sociale a tutto tondo, dalla quale anche il pensiero ecologista esce rafforzato».
Pur rimanendo fedele alla sua storia di uomo laico, in questi anni lei si è sentito molto in sintonia con il Pontefice, proprio a partire dalla Laudato si’. Può raccontarci questo percorso di avvicinamento?
«In realtà il mio primo contatto con il Papa è precedente all’enciclica e risale al 2013, pochi mesi dopo la sua elezione. Fu lui a telefonarmi, dopo che gli avevo mandato alcuni documenti prodotti dalla rete di Terra Madre (una realtà vivissima, legata a Slow Food, che collega comunità agricole di tutto il mondo, ndr). Al telefono, parlammo dell’economia di sussistenza, cioè quella che ha caratterizzato il mondo agricolo in tutta la sua storia. Poi, nel 2015, ci fu un secondo contatto: con la pubblicazione della Laudato si’, le Edizioni San Paolo mi proposero di scrivere un’introduzione alla lettura. Così ebbi la possibilità di conoscere il testo. E ne rimasi impressionato. Da questa esperienza sono germogliate anche le Comunità Laudato Si’, che attualmente conoscono una grande fioritura. Sono realtà “slow”, che crescono lentamente, ma con grande capacità riflessiva. Non hanno una struttura gerarchica, lavorano in autonomia, accogliendo credenti e non. E direi che sono un ottimo modello per il futuro».
Poi, nel 2019, il Papa l’ha invitata al Sinodo Amazzonico.
«Sì, ho partecipato come uditore e ho anche potuto fare un intervento. Di quei giorni mi restano memorie straordinarie. Ho conosciuto una Chiesa fortemente vicina all’umanità indigena, impegnata in prima linea per la difesa dei più poveri e della loro casa. E ho visto un’incredibile biodiversità culturale, capace di crescere e confrontarsi attraverso il dialogo, magari anche con momenti di frizione, ma sempre con lo sguardo rivolto al bene comune. Pochi mesi dopo è iniziata la crisi pandemica. Oggi, mi fa soffrire pensare a quanto e con quanta durezza l’area amazzonica sia stata colpita. E più ancora mi addolora spere che tale sofferenza è anche il risultato di una politica insipiente (mi riferisco soprattutto a quella del Governo brasiliano), che calpesta tanto la terra quanto i poveri. E’ l’ennesima conferma del fatto che la Laudato si’ aveva visto lontano».
Da sinistra: Carlo Petrini, 71 anni, e monsignor Domenico Pompili, 58, vescovo di Rieti, promotori delle rete delle Comunità Laudato si', circa 60 in tutta Italia. Per gentile concessione di Slow Food.
Il 22 maggio si è celebrata la Giornata mondiale della biodiversità. Attualmente nel mondo sono circa 1.700.000 le specie viventi note, moltissime altre sono ancora da scoprire. Ma questo tesoro inestimabile è minacciato dall’attività umana. Come lavora Slow Food per difenderlo?
«La lotta per il mantenimento della biodiversità a livello planetario è nel nostro Dna. Anzi, direi che è proprio la ragion d’essere del movimento. In gioco c’è la vita delle generazioni future. Se non ci impegniamo ora, facendo la nostra parte, consegneremo a chi verrà dopo di noi un mondo impoverito. Oggi, parole come “sostenibilità” e “transizione ecologica” sono diventate di moda. Tutti le usano, ma si tratta di questioni serie, che, per essere attuate davvero, chiedono un cambio di comportamento e di mentalità. Con le nostre reti – come quella di Terra Madre – cerchiamo di favorire un mutamento “dal basso”, che passi anche attraverso nuove forme organizzative. Non è più il tempo delle strutture di stampo ottocentesco e dei “tesseramenti”. Servono realtà più flessibili. Servono reti di comunità, autonome ma contemporaneamente legate fra loro. Non può esistere infatti tutela della biodiversità se non esistono comunità consapevoli, che di questo patrimonio si prendano cura. La biodiversità non è solo vegetale e animale, ma riguarda il pensiero, la cultura, il mondo dello spirito».
Come immagina l’immediato futuro?
«Ci sono tanti aspetti allarmanti, certo, però vedo anche segnali di speranza. In particolare mi colpisce la determinazione dei più giovani, che non si limitano a esprimere preoccupazione, ma sono pronti a cambiare, per primi, i loro stili di vita quotidiani. Dobbiamo lasciarci interrogare e mettere in discussione, con creatività. Dopo la pandemia, nulla sarà più come prima. Ma se insisteremo nel riproporre, uguali, i paradigmi socio-economici di prima, tutta questa immane sofferenza non sarà servita a nulla».