Caro (ex) onorevole De Gregorio,
noi tutti, giornalisti e semplici cittadini, le dobbiamo delle scuse e dei ringraziamenti.
Scuse per avere dubitato della sua coscienza morale, quella che la indusse nel 2008 a combattere quel che oggi, in 7 pagine consegnate ai magistrati, lei definisce “guerriglia urbana” in Parlamento e noi sprovveduti abbiamo per anni scambiato per volgare compravendita di parlamentari.
Fu dunque un atto consapevolmente e pensosamente virile, quel che nel gennaio 2008 la portò a un cambio di casacca (da Di Pietro a Berlusconi) la spinse a convincere altri a fare lo stesso, e a determinare così la fine del governo Prodi per il bene del Paese.
Ci perdoni di non aver capito: la sua è stata la battaglia di un soldato in incognito, infiltrato nel cuore del Palazzo, l’ascesa sulla montagna di un partigiano in nome della libertà (Operazione libertà ha ribattezzato tutto questo). Altro che “dazioni di denaro”: i 3 milioni ricevuti dall’allora capo dell’opposizione non sono stati che un risarcimento spese. E così la successiva rielezione come senatore del Pdl. Trattavasi di battaglia per un ideale.
Ci scusi poi per avere dubitato, ancora oggi, perfino oggi, della sua tempra personale. Della forza dei suoi sentimenti, quelli familiari in particolare. Inizialmente siamo rimasti sconcertati, lo confessiamo. L’avere lei “rivisto in sogno” suo papà, l’invito da lui ricevuto a confessare, la sua paura a essere “inseguito” dalla sua ombra per un momento ci avevano lasciati interdetti.
Invece, a pensarci bene, con un filo di freddezza, riconosciamo che tutto ciò è per noi motivo di pentimento, rincrescimento, perfino colpa. Pensavamo fossero altri , e ben più veniali, i motivi che oggi la spingono a patteggiare presso il tribunale di Napoli 20 mesi, stralciando la sua posizione da quella dei coimputati, Valter Lavitola e Silvio Berlusconi . Cose come “regolamento di conti”.
O più banalmente: pene tali da non dovere essere scontate in cella. Niente di ciò. C’era la coscienza di un figlio alle prese col giudizio di un padre.
Le dobbiamo tuttavia anche dei ringraziamenti. E’ per avere sollevato un velo su quanto avvenuto allora in Parlamento. Sa, per noi ingenui la politica è la più alta forma di carità, come diceva un certo Paolo VI. Sappiamo bene - pur nel nostro ottuso candore - che la compravendita di parlamentari, dai tempi del “ministro della malavita” Giovanni Giolitti (espressione del grande Gaetano Salvemini), alla elezione del presidente Leone con i voti “sospetti” del Msi, fino ai giorni suoi è questione di Realpolitik. E ci sentiamo perfino un po’ in difficoltà quando da certi politici, politologi - e perfino da certi colleghi più à la page di noi - ci sentiamo accusare di essere naif per non voler capire che “così va il mondo, da sempre la politica si fa con i soldi, e questa è stata l’Italia”.
Guardi, anzi guardate, non è che non capiamo. E’ che tutto questo semplicemente non ci piace. Vogliamo dirla tutta? Ci fa quasi ribrezzo. E non scambieremmo un’oncia della nostra ingenuità con l’adulta Realpolitik di questi maestri di cinismo. Lei, con la sua testimonianza autografa - sette paginette consegnate ai magistrati, quasi un memoriale sulla seconda repubblica e su Silvio Berlusconi - ci conforta sul fatto che tutto quello che temevamo è avvenuto. E’ ora scritto nero su bianco e spetterà ai dei giudici, il 19 luglio, dire se è cosa rilevante da un punto di vista penale.
Noi pensiamo che lo sia. Ma, ci scusi ancora, anzi scusateci ancora tutti: siamo solo degli inguaribili, romantici ingenui.