«Sono qui fuori che guardo la tua porta, chiedendomi come e perché è cominciato tutto questo. Non so quale dei momenti difficili e dolorosi (forse la morte della tua mamma, quando eri piccolo, anche se non hai mai espresso dolore) possa essere alla base della tua decisione di “"chiuderti". Infatti all’improvviso, un passo alla volta, hai cominciato a chiuderti nella tua stanza, scegliendo di isolarti da tutto e da tutti: per gli amici sei diventato irraggiungibile (spegni il cellulare e non rispondi a chiamate e messaggi); rifiuti di alzarti dal letto e, quando ti chiamo, ti giri dall’altra parte senza parlarmi e rispondermi; non frequenti più la scuola da molto tempo; esci dalla tua stanza solo per i pasti (ma spesso prendi il tuo piatto e te lo porti in camera).
Già, mangiare, lo fai solo se ti preparo io, altrimenti o non mangi oppure solo qualcosa tipo latte e cereali o merendine; poche volte ti prepari qualcosa da solo o ordini cibo da fuori (neanche vai al bar dietro l’angolo per comprarti qualcosa, anche se ti lascio i soldi). Non esistono più orari regolari di sonno/veglia e la notte ti ascolto mentre giochi online (almeno parli e dialoghi con qualcuno: anche in inglese, che hai imparato molto bene giocando con persone da tutto il mondo) oppure guardi film, video musicali e di altro genere culturale.
Per fortuna continui a mantenere una regolare igiene personale (anche se non è lo stesso per la tua stanza) e all’interno della tua camera, regolarmente, fai esercizi ginnici; qualche volta, quando sono in difficoltà, riesco a convincerti a portare a spasso il nostro cagnolino. È difficile la mattina andare a lavorare lasciandoti da solo in casa, non è facile concentrarsi sul lavoro e non deprimersi.
Io, che non ho la capacità di impormi con te, non so cosa fare per risolvere questa situazione difficile che non capisco e che non conoscevo, e quindi (arrampicandomi sugli specchi) cerco aiuto in tutti e in tutto quello che mi viene in mente: zii, cugini, amici di famiglia, scuola, medico di base, Consultorio, Centro per le Dipendenze Minorili da Internet dell’Ospedale Gemelli.
Tutti tentativi inutili, anche per il tuo rifiuto di parlare con psicologi e per la mia mancanza di coraggio di insistere nel proportelo. Addirittura, mi ipotizzano un ricovero in clinica e ovviamente mi rifiuto e cerco altre soluzioni. Poi un giorno, dopo una crisi di aggressività, mi metto al computer, ed ecco che da internet esce all’improvviso la strada giusta da cui parte un lento ma graduale cambiamento: trovo il sito dell’Associazione Hikikomori Italia Genitori, con altri genitori che hanno situazione e problemi simili ai miei.
Da allora cambia tutto: secondo “le buone prassi”, indicate dall’associazione, il mio “buonismo” non è un difetto (come pensano tutti coloro che ci guardano dal di fuori), ma il giusto comportamento per non pressarti, per portare un clima sereno in casa e giungere pian piano a cambiamenti e modifiche che ti facciano uscire dalla tua stanza e da casa più spesso. Anche per quanto riguarda me, ho avuto la fortuna di trovare persone squisite e fantastiche, che mi mettono a mio agio e con cui nascono belle amicizie.
Condividiamo gioie e dolori della vita quotidiana, sia tramite la partecipazione al gruppo di auto-aiuto per genitori, che mediante il continuo scambio di notizie e confronti tramite i canali di comunicazione sociali. Ovviamente non mancano momenti di svago ricreativi per alleggerire il peso delle situazioni che abbiamo in casa. Pian piano, proposta dopo proposta (di cui molte rifiutate e qualcuna andata a buon fine), alla fine riesco a trovare la strada giusta e così cominci a frequentare un piccolo istituto scolastico privato con ambiente familiare e pochi frequentanti, dove recuperi gli anni persi in precedenza.
E ora, che stai frequentando il quinto anno e mi hai chiesto di poterti iscrivere alla Scuola Guida, ogni giorno i miei occhi ti guardano con un misto di felicità, orgoglio, speranza e timore (che da un momento all’altro tu possa regredire). Ovviamente, ogni tanto, hai ripreso anche a uscire con i tuoi amici, ma ieri mi hai detto che preferisci stare in casa; egoisticamente, non posso sempre affermare che ciò mi dispiaccia più di tanto, infatti sto più tranquillo avendoti con me in casa al sicuro, piuttosto che fuori, chissà dove e con chi. Per quanto riguarda l’associazione, sono sicuro che anche se tu in futuro uscirai totalmente dai periodi e momenti di isolamento, io continuerò a essere presente dando il mio contributo, anche se non direttamente, per aiutare, per quello che posso, molte famiglie che hanno questo tipo di situazione in casa.»
UMBERTO CIARAVOLA
Grazie per questa testimonianza personale che racconta dal di dentro la situazione che vivono tante famiglie: sono più di 120.000 i ragazzi che si ritirano dal mondo, non vanno a scuola, non lavorano, vivono chiusi nella propria stanza. Sono chiamati hikikomori, parola giapponese che significa “stare in disparte, isolarsi”. Si usa un termine del Paese del Sol levante perché è lì che il fenomeno è emerso per la prima volta. A questi ragazzi e alle loro famiglie abbiamo dedicato un’inchiesta l’estate scorsa, nel n. 29, nella quale si citava anche l’Associazione Hikikomori Italia Genitori. Hai fatto bene, però, caro Umberto, a raccontare la tua esperienza con questa associazione: mi auguro che anche altri genitori possano trovare in essa un aiuto.
Mi permetto un’osservazione generale sulla situazione di questi ragazzi, che fa stringere il cuore di tanti genitori e nonni. Le cause non sono del tutto chiare, forse dei conflitti in famiglia mai superati, la paura di affrontare il mondo, l’incapacità di passare dall’infanzia all’età adulta, le nuove tecnologie che se non controllate diventano come una droga… Non si può giudicare o accusare o, peggio, reagire con violenza.
Non tutte le situazioni, inoltre, hanno la stessa gravità. L’aiuto reciproco che si possono dare le famiglie, grazie anche all’associazione citata, è però fondamentale. Fare squadra, confrontarsi, permette di non sentirsi più soli e di superare la vergogna. Penso anche che i nostri ragazzi ci stiano lanciando un appello. Una richiesta di senso per l’esistenza, qualcosa di bello e di grande per cui valga la pena vivere. La nostra società propone solo un benessere immediato e superficiale. Come ha scritto papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, ci vengono proposte troppo spesso e strumentalmente storie che «ci narcotizzano, convincendoci che per essere felici abbiamo continuamente bisogno di avere, di possedere, di consumare. Quasi non ci accorgiamo di quanto diventiamo avidi di chiacchiere e di pettegolezzi, di quanta violenza e falsità consumiamo». Sui “telai della comunicazione”, «anziché racconti costruttivi, che sono un collante dei legami sociali e del tessuto culturale, si producono storie distruttive e provocatorie, che logorano e spezzano i fili fragili della convivenza. Mettendo insieme informazioni non verificate, ripetendo discorsi banali e falsamente persuasivi, colpendo con proclami di odio». Come non chiudersi in se stessi di fronte a un mondo così? In breve, tutti dobbiamo assumerci la nostra responsabilità, non solo le famiglie con i figli hikikomori. Anche la nostra piccola testimonianza di bene, di perdono, di bellezza, di altruismo, aiuta a tessere un mondo di relazioni positive, a indicare un senso per cui valga la pena vivere, a riscoprire le meraviglie che Dio ha predisposto per noi e sul nostro cammino.