Non si ferma la mobilitazione per il medico iraniano Ahmadreza Djalali, per anni ricercatore del Centro di medicina dei disastri di Novara che da un anno si trova nel carcere di Evin a Teheran con l'accusa di essere una spia. Per lui sono state raccolte oltre 220 mila firme in tutto il mondo, Amnesty International ha avviato un'azione urgente e ieri è partito dal web anche l'invito a inviare un tweet. E anche i suoi figli, Amitis e Ariou, 14 e 5 anni, che vivono con la madre in Svezia, si sono rivolti via face book al papa: «Francesco aiuta il mio papà a tornare a casa: non lasciarlo morire in prigione...». hanno accompagnato questo messaggio con la loro foto che mostra sul palmo delle mani le scritte «free our dad» e «came back daddy», «libero il nostro papà» e «torna a casa papà». Sempre via facebook i bambini hanno diffuso una lettera al padre ascritta dalla figlia maggiore: ««Ti sei perso il mio quattordicesimo compleanno, spero non ti perderai il prossimo Sogno ogni giorno di vederti tornare a casa, di riabbracciarti, di giocare di nuovo con te, ma ho paura che quel giorno non arriverà mai. Sogno il giorno che mi sveglierò con la notizia che sei stato rilasciato e che tutta la sofferenza, tua e nostra, è finalmente finita ... Tutto quello che hai fatto è aiutare le persone in giro per il mondo… Ho paura che un giorno dovremo dire ad Ariyo perché non sei più tornato. Vuole che tu torni, dice di voler andare fino in fondo all'Iran per trovarti, ha bisogno di te. Ha bisogno di te, di tornare a giocare insieme, di fare il ninja e tutti i giorni piange per mentre tu, solo, stai seduto nella tua cella... senza mangiare e senza bere nel tentativo «di far sentire la tua voce contro tutta questa ingiustizia». «Caro papà - è il saluto finale - ti amerò sempre. Non potrò mai rinunciare a credere che un giorno tornerai. Tu non mollare». Ahmadreza Djalali, 45 anni, esperto di medicina d'emergenza, innamorato del suo Paese per i colleghi, pericolosa spia per il Tribunale della Rivoluzione, da venerdì ha iniziato lo sciopero della sete, oltre a quello della fame. La decisione di riprendere lo sciopero della fame, che aveva interrotto, e di attuare anche quello della sete dopo che Djalali si è di nuovo visto ricusare il suo avvocato e non ha ottenuto la fissazione di una data certa per il processo. «Siamo molto preoccupati per lui» afferma il professor Francesco Della Corte, direttore del Crimedim di Novara per cui il medico iraniano lavorava, « lo sciopero della sete ha conseguenze molto pensanti sul fisico». «La situazione è angosciate, è in pericolo di vita», aggiunge il collega e amico Luca Ragazzoni.