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venerdì 11 ottobre 2024
 
Lettere al direttore
 

«Caro Papa, c'è anche chi licenzia, ma è un buon imprenditore»

28/06/2017  «Durante la visita a Genova di papa Francesco abbiamo sentito queste parole: «Chi licenzia non è un buon imprenditore». Sono la moglie di un piccolo artigiano con un’azienda a conduzione familiare. Complice la crisi, la concorrenza non sempre leale e una soffocante burocrazia, ci siamo visti costretti a licenziare . È stato uno dei giorni più brutti.  Le parole dl Papa mi hanno fatto un po’ male». Don Antonio risponde

Stimatissimo direttore, ho riflettuto un po’ prima di scriverle. Stimo tantissimo papa Francesco e gli voglio un gran bene, condivido sempre tutto ciò che dice o scrive, ma durante la sua visita a Genova sono rimasta un po’ male nel sentire queste parole: «Chi licenzia non è un buon imprenditore». Forse si riferiva ai grandi industriali e alle multinazionali. Lo spero! Sono la moglie di un piccolo artigiano che 20 anni fa ha dato vita a un’azienda a conduzione familiare, con il maggiore dei nostri due figli, e ora anche sua moglie. Piano piano siamo cresciuti lavorando sempre onestamente e nel rispetto delle leggi, abbiamo assunto personale, fino a quando, complice la crisi, la concorrenza non sempre leale e una soffocante burocrazia, ci siamo visti costretti a licenziare due persone per la carenza di lavoro e altre difficoltà. È stato uno dei giorni più brutti, mi creda, anche perché i nostri collaboratori non sono mai stati considerati dei numeri e noi abbiamo sempre lavorato con loro cercando di creare un ambiente di lavoro familiare e sereno. Le persone licenziate hanno sempre lavorato onestamente e con passione e ci è dispiaciuto davvero tanto. Penso di interpretare il pensiero di tante piccole imprese artigianali o commerciali che ci sono in Italia e, mi dispiace, ma questa volta le parole di papa Francesco, non dico che mi abbiano offesa, ma fatto un po’ male, questo sì. Spero proprio non fosse sua intenzione fare di ogni erba un fascio. Mi scusi per questo mio sfogo e la ringrazio se ha avuto la pazienza di leggerlo.

UN’AFFEZIONATA LETTRICE

Carissima, capisco molto bene il tuo sfogo. Anche perché mio papà era un piccolo artigiano e così è oggi uno dei miei fratelli. Conosco direttamente le difficoltà di questa categoria che ha tenuto in piedi per anni l’economia italiana e che man mano è stata soffocata dalla burocrazia, dall’eccessiva pressione fiscale e anche, inutile nasconderlo, da chi nella stessa categoria (o in quella affine dei professionisti) non si è comportato onestamente. Comunque, non è questa la sede per una disanima più approfondita. Mi limito a rispondere alla tua perplessità rispetto alle parole di papa Francesco. Il problema, in realtà, è dato dalle sintesi giornalistiche, perché il Papa ha detto ben altro e ben di più. Ti invito a rileggere interamente il suo dialogo con il mondo del lavoro durante la visita pastorale a Genova. Scoprirai che Francesco è in piena sintonia con le tue parole e con il racconto che tu fai dell’impegno nella vostra azienda a conduzione familiare.

Prima di tutto, il Papa ha fatto l’elogio degli imprenditori. «Non c’è buona economia senza buoni imprenditori», ha detto, «senza la vostra capacità di creare, creare lavoro, creare prodotti». Ha poi sottolineato come sia importante da parte degli imprenditori riconoscere e apprezzare le qualità dei propri lavoratori e lavoratrici: «A volte si pensa che un lavoratore lavori bene solo perché è pagato: questa è una grave disistima dei lavoratori e del lavoro, perché nega la dignità del lavoro, che inizia proprio nel lavorare bene per dignità, per onore. Il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori, perché lavora accanto a loro, lavora con loro. Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore. Se lui non ha questa esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore. Condivide le fatiche dei lavoratori e condivide le gioie del lavoro, di risolvere insieme problemi, di creare qualcosa insieme». Mi pare che queste parole riecheggino le tue, quando scrivi che le persone da voi licenziate «hanno sempre lavorato onestamente e con passione e ci è dispiaciuto davvero tanto».

E, a proposito di licenziamenti, ecco come prosegue il discorso del Papa: per un buon imprenditore «se e quando deve licenziare qualcuno è sempre una scelta dolorosa e non lo farebbe, se potesse. Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente». Mi sembra che sia proprio quello che è successo nella tua famiglia. È solo a questo punto che vengono le parole del Papa che tutti i media hanno ripreso e che riguardano chi non è un buon imprenditore. «Chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando la gente», ha detto, «non è un buon imprenditore, è un commerciante, oggi vende la sua gente, domani vende la propria dignità». Il buon imprenditore, al contrario, quando non vede altre strade se non il licenziamento «ci soffre sempre, e qualche volta da questa sofferenza nascono nuove idee per evitare il licenziamento». E a questo proposito Francesco ricorda che un anno fa, dopo la Messa a Santa Marta, gli si è avvicinato un uomo che piangeva. «Sono venuto a chiedere una grazia», aveva detto. «Io sono al limite e devo fare una dichiarazione di fallimento. Questo significherebbe licenziare una sessantina di lavoratori e non voglio, perché sento che licenzio me stesso». Quell’uomo che piangeva era un bravo imprenditore, ha detto il Papa, «lottava e pregava per la sua gente, perché era “sua”: “È la mia famiglia”».

La malattia che Francesco denuncia, una malattia dell’economia, «è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori». È contro costoro che il Papa se la prende: «Lo speculatore non ama la sua azienda, non ama i lavoratori, ma vede azienda e lavoratori solo come mezzi per fare profitto. Usa azienda e lavoratori per fare profitto. Licenziare, chiudere, spostare l’azienda non gli crea alcun problema, perché lo speculatore usa, strumentalizza, “mangia” persone e mezzi per i suoi obiettivi di profitto». Al contrario, «quando l’economia è abitata da buoni imprenditori, le imprese sono amiche della gente e anche dei poveri». E ha concluso: «Quando l’economia perde contatto con i volti delle persone concrete, essa stessa diventa un’economia senza volto e quindi un’economia spietata. Bisogna temere gli speculatori, non gli imprenditori; no, non temere gli imprenditori perché ce ne sono tanti bravi! No. Temere gli speculatori. Ma paradossalmente, qualche volte il sistema politico sembra incoraggiare chi specula sul lavoro e non chi investe e crede nel lavoro».

I bravi imprenditori come voi, cara amica lettrice, non devono però scoraggiarsi. Il Papa li invita a perseverare nel bene citando una bella frase di Luigi Einaudi: «Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi [politici, ndr] possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con gli altri impegni».

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