"La mafia uccide solo d'estate" di Pier Francesco Diliberto, in arte Pif è un film commovente, lucido, vibrante di autentica tensione civile. Quando l'avevo visto la prima volta, al cinema, ne ero rimasto favorevolmente colpito, anche se uscendo dalla sala ho cominciato a rimuginarci sopra masticando amarezza. Perché a mio modesto parere in questo film c'è un difetto un po' troppo vistoso. Un difetto a mio parere ideologico. E mi spiego.
Premessa: ogni film è una libera espressione artistica di chi lo produce, nella fattispecie Pier Francesco Diliberto, attore, regista, sceneggiatore palermitano che racconta la storia di un trentennio mafioso con gli occhi di un bambino. Si piange e si ride in questo affresco della stagione delle bombe di Cosa Nostra. Il sarcasmo con cui dipinge Totò Riina è davvero memorabile, come l'umanità e la grandezza dei vari eroi caduti sotto il piombo e il tritolo della mafia: Boris Giuliano, Rocco Chinnici, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per citarne alcuni.
C'è anche un uomo di Chiesa in questo film, il famigerato Fra Giacinto, religioso affiliato ai Corleonesi, trovato ammazzato in un convento, nella sua cella piena di armi e frustini, sarcasticamente rappresentati nel film, il simbolo più estremo di una certa Chiesa che per troppo tempo, in alcune sue frange, è venuta a patti con la mafia o è stata guardare. In questo caso ne faceva addirittura parte. Però la Chiesa a Palermo in quella stagione è stata anche altro, anzi, soprattutto altro: è stata la Chiesa dei don Garau, dei don Noto, dei don Meli, dei don Ribaudo, padre Scordato e dei tanti altri parroci antimafia che gridavano dai pulpiti contro i soprusi dei boss, che guidavano le manifestazioni dei lenzuoli contro la mafia. La Chiesa del cardinale Pappalardo e della sua omelia sulla Sagunto espugnata, simbolo di Palermo, ai funerali di Dalla Chiesa. La Chiesa del centro Arrupe di padre Pintacuda e padre Sorge. Ed è stata soprattutto la Chiesa del martire padre Pino Puglisi, parroco di Brancaccio, la borgata a più alta densità mafiosa della città.
Ci sarebbe stato bene in quel film così surreale e realistico don Treppì, con le sue grandi orecchie e le sue grandi scarpe, sempre sorridente, mite e determinato, sempre a difesa dei suoi ragazzi e dei suoi parrocchiani, a testimonianza di una Chiesa che non ha esitato a portare il Vangelo nelle case e nelle strade di Palermo sfidando i boss a prezzo della morte. Invece padre Puglisi in quel film non c'è, e nemmeno uno degli altri uomini di Chiesa citati, c'è solo fra Giacinto. E' una scelta artisticamente legittima, ma che finisce anche per diventare ideologica. Anche perché i personaggi che fanno da sfondo alla storia non sono inventati, e interpretare la Chiesa dell'epoca in questo modo, facendola rappresentare dal solo fra Giacinto, equivale a darne una visione distorta. Eppure il Centro Padre Nostro di don Pino, a Brancaccio, non era molto diverso da quell'oratorio di Scampia, altro avamposto della Chiesa in terra di clan, in cui il nostro gira un noto spot televisivo. E allora perché in quel film padre Puglisi non c'è? Pensare che la mafia aveva ucciso anche lui d'estate, il 15 settembre 1993.