Caro professor Serianni,
in questi ultimi giorni le sue classi si sono ricomposte. Ci siamo ritrovati tutti con la mente nell’aula di Geografia de La Sapienza gremita come sempre, seduti gomito a gomito. Io, gambe incrociate da eterna ritardataria, a terra, al lato destro della cattedra, davanti al suo profilo leggero. In mano ha il solito foglietto di appunti e il gesso. Perché la lezione si prepara, niente in aula può essere lasciato all’improvvisazione. E la lavagna si usa. È come se vent’anni fossero scomparsi in un momento e noi suoi allievi, suoi laureati - intere generazioni di docenti delle scuole di ogni ordine e grado sparse lungo tutto lo Stivale- fossimo lì, al suo fianco. A prendere appunti, a registrare lezioni dense, ad aspettare l’immancabile battuta che trova sempre un varco tra i versi di Dante e stempera, consapevole, il suo garbato autocontrollo.
Da allora ci ha sempre accompagnati. In ogni nostra lezione, in ogni spiegazione. Nei sé stesso con l’accento che, come ci ha chiesto, ogni alunno ha imparato a scrivere, segno distintivo di appartenenza. Nel verdeggiare dei temi, perché in rosso si corregge ma in verde si loda ciò che è ben fatto. Nell’amore, vissuto e trasmesso, per la grammatica storica che ha cambiato il nostro rapporto con la lingua italiana per sempre.
Ci ha insegnato la presenza, cortese e discreta, che va oltre la porta di un’aula: sempre puntuali le risposte alle lettere e ai messaggi, sempre disponibile ad ascoltare noi allora e a incontrare a scuola i nostri alunni oggi. Aperto alla condivisione del sapere, delle idee, dello stesso tavolo in biblioteca Monteverdi, dove spesso la si vedeva studiare.
Nella sua lezione di congedo dall’attività didattica del 19 giugno 2017 ha fatto sue le parole dell’antropologo Alberto Mario Cirese, che ringraziò lo Stato perché per quarant’anni gli aveva fatto fare ciò che gli piaceva di più, cioè studiare e insegnare. E lo aveva perfino pagato. Ma ha aggiunto una postilla: lo Stato, per lei, siamo noi, i diretti destinatari del suo lavoro. A noi studenti, dunque, il compito di dire che ha pienamente adempiuto al precetto costituzionale di svolgere le funzioni pubbliche che le sono state affidate con «disciplina ed onore». A noi, insegnanti di oggi e suoi alunni per sempre, il dovere di prendere esempio. E di ringraziarla per quanto ci ha donato.
Con profondo affetto e immensa stima
Maria Gallelli